Intervento di Buscalferri sulla revisione dello statuto della Fondazione

“Pecunia non olet”, ma l’assassino l’abbiamo già in pugno, ed è il sistema di potere politico ventennale, che sarebbe troppo riduttivo identificare con i volti alla gogna di Mussari e Vigni.
La magistratura farà naturalmente il suo corso, ma c’è di che inorridire di fronte alla più antica banca del mondo, che ha avuto un ruolo cardine nella crisi economica del ‘29, così come nel dopoguerra, per la ricostruzione e la rinascita della nostra nazione, affidata ad un manipolo di ladri comuni.
Come poter dimenticare i toni accorati con i quali Mussari e Vigni, chiamati più volte dalla Deputazione Generale della Fondazione ad illustrare la situazione dell’Istituto, invocavano il loro far banca etica, che aveva preso le distanze dai disastri finanziari della Banca 121, per recuperare la propria vocazione di banca a sostegno delle famiglie e delle piccole imprese. E se qualcuno faceva loro notare che proprio queste ultime, invece, si lamentavano di un mancato credito e di mutui negati, erano pronti subito ad invocare il destino cinico e baro di una contingenza internazionale sfavorevole, che privilegia solo la finanza spregiudicata, quella dei “derivati tossici”, per intendersi. Come dire, il danno e la beffa.
Anche il passaggio dell’acquisizione della Banca Antonveneta, al netto delle tangenti, delle “stecche” e di tutto ciò che deve essere indagato e dimostrato, ha ormai dei contorni precisi: Mussari, nel perseguimento di un gigantismo bancario e di un prestigio personale, ne chiuse precipitosamente l’acquisto, consapevole che la Fondazione, di cui era stato presidente per cinque anni, i soldi li aveva, a differenza della Banca. Ricordiamo che MPS, all’epoca, con un patrimonio di 12 miliardi, acquistò Antonveneta per 9,3 miliardi (che poi raddoppieranno). È in questo passaggio il grave inganno e la manifesta disonestà e, forse, anche la certezza dell’impunità.
MPS rischia seriamente una nazionalizzazione: esaminiamone gli aspetti.
Nel 1990 la legge Amato trasforma gli Istituti di Diritto Pubblico in S.p.A. per rispondere ad esigenze oggettive di innovazione e rafforzamento del sistema creditizio italiano, scosso, in passato, da scandali di malaffare pubblico quali il Banco Ambrosiano e l’Italcasse.
Non solo questo tentativo è stato inutile, ma c’è chi sostiene autorevolmente la bontà della nazionalizzazione delle banche, come i premi Nobel Joseph Stiglitz e Paul Krugman.
In Svezia, negli anni ’90, le banche, in grave crisi di liquidità, sono state tutte nazionalizzate, ristrutturate, riportate a profitto, per poi essere nuovamente vendute ai privati. Il vero problema attuale è quello di trovare strumenti adatti ad eliminare la lottizzazione e la corruzione partitica, mantenendo l’autonomia della gestione pubblica. Una strada verso la democratizzazione delle Banche potrebbe essere l’apertura ai lavoratori (e non ai sindacati) alla elezione nel board, di una loro rappresentanza, come avviene nel sistema di governo delle imprese tedesche.
La presenza dei lavoratori aumenterebbe, sicuramente, la trasparenza del business bancario, fulcro centrale per il rilancio degli investimenti e, quindi, dell’occupazione.
L’altro progetto da perseguire è la costruzione di un sistema bancario policentrico e diversificato: banche pubbliche, banche private nazionali e internazionali, banche cooperative e territoriali, che potrebbero rilanciare l’economia, meglio dell’attuale sistema monopolistico.
L’altra questione fondamentale è l’obbligo di una separazione netta tra banche commerciali e banche d’affari e la messa fuori legge dei contratti derivati speculativi (quelli che hanno rovinato MPS), come hanno fatto Cina e India.
La questione delle fondazioni di origine bancaria e il loro ruolo istituzionale merita un approfondimento.
A quasi quindici anni dalla legge Ciampi che ne decretò la nascita su un’articolazione teorica di Beniamino Andreatta, le fondazioni non hanno ancora superato la loro ambiguità giuridica di enti privati, non commerciali, a scopo filantropico, ma che amministrano le proprie partecipazioni nella banca conferitaria.
A differenza di quanto sostengono Tito Boeri e il presidente Profumo (perlomeno in un recente passato) il ruolo delle fondazioni non è né inutile, né dannoso, anzi, può fungere da vero e proprio stabilizzatore del sistema bancario.
La Fondazione MPS – fino allo scorso anno socio di ampia maggioranza della Banca (fino al 56%), le cui nomine, come in tutte le altre fondazioni, sono frutto di lottizzazione politica – ha sicuramente avuto un ruolo insufficiente di vigilanza e controllo sulla banca conferitaria, che è stato perfettamente organico al sistema di potere politico cittadino. Comunque, i primi ad invocare discontinuità nella governance della Banca, sono stati alcuni membri della Deputazione Generale, in tutto il corso del 2011 e non il Ceccuzzi che ha consentito a Mussari di finire il suo regolare mandato (aprile 2012).
La rappresentazione di FMPS come braccio armato politico su MPS che le è stata accreditata da certa stampa, è falsa e rischia di ridimensionare le pesantissime responsabilità dei vertici della Banca. La Fondazione è stata, invece, una sorta di foglia di fico del sistema politico senese, garantita dalla sua apparente rappresentanza democratica, ma puntualmente scavalcata dal tradizionale fil rouge tra politica e Mussari.
L’aver consentito, per anni, che la FMPS, in netto contrasto con ogni dettato legislativo e costituzionale, fosse socio di maggioranza della Banca, è stato frutto della demagogia e dell’ottusità di tutto il sistema politico senese, in modo trasversale: il delirio del “noi ‘un s’ha padroni”.
Occorre urgentemente invertire la rotta, modificando lo statuto della Fondazione, ormai illegittimo e anticostituzionale, soprattutto negli aspetti della governance e delle incompatibilità, per consentire al prossimo assetto amministrativo, di utilizzare, fin da subito, questo strumento rinnovato. Anche il presidente Mancini è di questo parere.
Occorre ricordare che lo scorso 11 ottobre, in un’affollata iniziativa dei Circoli “Sinistra per Siena”, “Peppino Impastato” e “Viro Avanzati”, regolarmente ignorata dalla stampa, furono approfonditi questi temi, con l’auspicio che, sullo statuto della Fondazione, l’intera comunità fosse coinvolta nel dibattito. Nulla è successo. Così come tutto ancora tace sul lavoro svolto da un’apposita commissione, istituita l’estate scorsa, con membri della Deputazione Generale della Fondazione, dove gran parte dei “democratici” sono resistenti al cambiamento, per “inopportunità politica”.
Se vogliamo che la Fondazione s’identifichi, davvero, in quel patrimonio di “democrazia sociale” che dovrebbe rappresentare, occorre rafforzare i suoi legami organici di rappresentatività, responsabilità, affidabilità e trasparenza con i propri interlocutori naturali, sia pubblici che privati.
Lo statuto della Fondazione va modificato urgentemente: lo dobbiamo alla nostra Comunità, che guarda con sdegno e disorientamento l’attualità; lo dobbiamo alla nostra grande e amata città, che vuole prepararsi ad una pagina nuova della sua lunga storia.
(Foto di Corrado de Serio)