IL vuoto della politica ha dato spazio ai tecnici... incapaci di invertire l'andamento negativo della banca
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SIENA. Il tempo è passato come è normale che sia. La politica senese (PD, PDL) si è baloccata, intenta a nascondere le responsabilità del passato per salvare se stessa. Il Valentini non è mai entrato dentro alle questioni della Banca e della Fondazione non sapendole inquadrare nella corretta prospettiva, dimostrando di non avere i rapporti necessari con la politica romana e soprattutto con il Governo. Le dichiarazioni sul “golpe interno” sono tardive e sostanzialmente inutili: non si corre ai ripari quando i buoi sono usciti. Nei vuoti lasciati aperti, la politica ha delegato le decisioni ai cosiddetti tecnici. Tecnici che non sono stati capaci, in questi anni, di invertire l’andamento negativo della Banca. Tecnici che per bocca di Profumo ci dicono cosa sarebbe meglio per Siena e il suo territorio, ma che mettono in atto azioni tese a togliere di mezzo tutto ciò che potrebbe ostacolare il raggiungimento dei loro obiettivi. Dichiarazioni che raccontano in modo parziale e di parte gli scenari futuri. Come la contrapposizione fra l’accelerazione per fare l’aumento di capitale, così come è stata pensata, e la nazionalizzazione. Quest’ultima raccontata come il male dei mali. E l’aumento come panacea di tutte le disavventure. Un aumento di capitale fatto a costi onerosissimi visto che le dieci banche che fanno parte del consorzio di garanzia, avrebbero già dichiarato un “pre acquisto”. E come tutti sanno i pre acquisti costano e costano tanto in termini di commissioni.
Inoltre: chi saranno i nuovi soci? Difficilissimo a saperlo, con molta probabilità alcuni soggetti che si nasconderanno dietro dei Fondi o dentro delle scatole cinesi tutti pronti a fare il massimo guadagno con un’operazione di breve respiro. Il tutto condito da delle leve fiscali che faranno ricadere sui contribuenti l’onere dell’operazione. Un aumento di capitale che ha come obiettivo il pagamento dei debiti e degli interessi dovuti allo Stato. Solo oggi sapremo cosa la Comunità Europea dirà in merito al piano industriale del Monte e di quel capitolo rimasto sconosciuto per settimane: la dinamica dei ricavi. Un’accelerazione al buio che ha sicuramente delle coperture che con molta probabilità ha impegnato il ministro dell’economia in prima persona. Non mi sembra corretto giustificare la decisione presa dal consiglio di amministrazione come la migliore per difendere la presenza della banca nel territorio senese perché la contropartita di tale decisione è l’annullamento della Fondazione. Quest’ultima, si, l’unica garanzia per Siena. Basti solo far presente l’impossibilità della Banca a distribuire utili per anni. Così come è vero che Siena ha 3.300 dipendenti del Monte, ma è anche vero che è stato già deciso di fare uscire dalla banca 5.000 persone e che, per abbattere i costi, dovranno per forza partire da dove i costi lievitano: la Direzione Generale. Che nessun nuovo socio, soprattutto se nascosto dietro i fondi o dietro le cosiddette scatole cinesi, sarà disponibile a sostenere costi aggiuntivi anche se riferibili a Siena. Che la fotografia del PIL interno della provincia di Siena prodotto per 11% dal Monte dei Paschi è una realtà vecchia e sbiadita che per il futuro è destinata a contrarsi in modo deciso. Che il rilancio di questo territorio passa proprio da un’articolazione reddituale diversa fatta da “vere” attività produttive.
Vedremo cosa deciderà la Fondazione nella consapevolezza che la stessa Comunità Europea ha diluito l’aumento di capitale nell’arco di un anno. Che la nazionalizzazione ha margini di negoziazione trasparenti, dove l’interlocutore è conosciuto e costretto a gestire i passaggi sotto gli occhi degli elettori, o meglio dei contribuenti. Interlocutore, lo Stato che non può delegare la partita ne ai Fondi ne alle scatole cinesi ma mettendoci la faccia. Che non fa diventare il tecnico di turno il pigliatutto deus ex machina. Che spero si ricordi di altre operazioni come quella già sperimentate da Unicredito.
Pierluigi Piccini
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