L'esterofilia del costruttore e i prodromi della fuga da Siena

di Red
SIENA. E alla fine Francesco Gaetano Caltagirone una sua verità sulla fuga improvvisa e inopinata da Siena nel gennaio 2012 l’ha dovuta raccontare (vedi ns. precedente articolo). Nessun accenno del costruttore al fatto che fosse stato costretto, il 26 gennaio 2012, a dimettersi dal CdA di MPS a causa di una condanna in primo grado a tre anni e sei mesi di reclusione nell’ambito del processo della fallita scalata di Unipol a Bnl nella quale era coinvolto l’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. A maggio 2012, nel processo alla Corte di appello di Milano, Fazio, Caltagirone e gli altri imputati (i famosi “furbetti del quartierino”) vengono tutti assolti perchè il fatto non sussiste. Condannati solo gli ex-vertici di Unipol, Consorte e Sacchetti. Il pg Vito D’Ambrosio ricorre in Cassazione perchè “Secondo la pubblica accusa di Piazza Cavour la sentenza d’appello che, ribaltando la decisione di primo grado, aveva accordato 11 assoluzioni dall’accusa di aggiotaggio “perché il fatto non sussiste” è una ”sentenza strabica perché racconta come si sono svolti i fatti e poi dice che manca la prova del patto parasociale”. All’inizio di dicembre 2012 la Cassazione dispone che si faccia un nuovo processo presso la Corte d’Appello di Milano, annullando l’assoluzione degli 11 imputati. Sentenza sacrosanta quanto inutile, perchè il nuovo processo non si farà. Infatti il 19 dicembre dello stesso anno i reati ascritti agli imputati finiscono in prescrizione, tutti salvi in barba alla giustizia. Basterebbe raddoppiare i tempi della prescrizione per rendere inutili tutti gli escamotage per rinviare l’esecuzione dei processi per anni lasciando troppa discrezionalità ai magistrati per tenere aperti fascicoli senza procedere a formalizzare i processi e agli avvocati per inventarsi impedimenti di ogni genere.
Caltagirone, oggi, racconta che nel periodo settembre-dicembre 2011 ci furono forti tensioni all’interno del CdA senese. Assieme al rappresentante di Axa, De Courtois, aveva improvvisamente scoperto che nel portafoglio della banca c’erano troppi titoli di Stato italiani. Dai verbali delle riunioni del board risulta che “Caltagirone e l’azionista francese Axa, rappresentato da Francois de Courtois, erano preoccupati per l’esposizione ai titoli di Stato italiani di Mps. “Quanti Btp abbiamo in portafoglio?”, chiedeva ansioso Francesco Gaetano Caltagirone, vicepresidente e azionista con il 4%, al consiglio dell’8 settembre 2011. “La situazione non è ulteriormente sostenibile – dichiarava nello stesso verbale – sia come rischiosità che come conseguenze di conto economico, si devono prendere opportuni provvedimenti per alleggerire queste posizioni”. Chissà se ha chiesto il perchè a Mussari e Vigni di una simile raccolta di titoli …e ancora non si parla dei derivati Santorini e Alexandria.
Tra il 16 e il 22 dicembre 2011, avendo da qualche giorno in mano un rapporto interno che quantificava l’esposizione della banca in titoli di Stato italiani, Caltagirone vendeva un pacchetto da 35,7 milioni di azioni MPS per un controvalore di 8 milioni: banca di cui era ancora vicepresidente e di cui, secondo gli aggiornamenti Consob, deteneva il 3,923%. In particolare l’imprenditore romano aveva ceduto, fra il 16 e il 21 dicembre, 22,5 milioni di titoli attraverso la Caltagiorne Editore per oltre 5,8 milioni di euro; altri 13,2 milioni di azioni vendute attraverso la Soficos per piu’ di 3,4 milioni. La grande fuga era già cominciata: Caltagirone aveva annusato l’aria e aveva deciso di mollare per tempo. Un po’ ammaccato, dovendo contabilizzare 400 milioni di minusvalenze, all’incirca come la Unicoop Firenze di Turiddo Campaini, che ha mollato la vicepresidenza del board targato Profumo nel 2013. Ma davvero sono state contabilizzate solo minusvalenze? L’elenco degli affari immobiliari che il costruttore romano ha svolto sotto l’ombrello della banca senese è impressionante. Non è possibile conosere l’esposizione complessiva della banca con la galassia Caltagirone perchè le regole si sono fatte stringenti solo a partire dal 2008. Si tratta comunque di “un flusso di denaro che non ha trovato, evidentemente, grandi ostacoli nella procedura prevista dall’articolo 136 del Testo unico bancario (voto favorevole unanime del cda e dei sindaci per le operazioni sulle operazioni della banca che hanno come controparti amministratori)”. Con i soldi senesi si finanziavano le imprese del costruttore più liquido del panorama nazionale. Più di 500 milioni di euro, secondo una stima fatta da linkiesta.it: “Nell’ottobre 2008 Mussari ha erogato mutui fondiari alla Immobiliare Caltagirone (la “ICal”), controllata dalla capofila (non quotata) Fgc spa, per 120 milioni di euro. Ical: altri 30 milioni nel febbraio 2010. Aprile 2009, la quotata Cementir Holding, invece, è destinataria di «nuove concessioni creditizie di 49,5 milioni», mentre alla fine dello stesso anno una controllata del gruppo senese, la Antonveneta Immobiliare decide di vendere «alcuni immobili di proprietà situati in Roma alla società Immo 2006 srl al prezzo complessivo di 37.580.000». La società in questione è «è parte correlata di Banca Mps in quanto il vice presidente Ing. Francesco Gaetano Caltagirone controlla indirettamente Immo 2006 srl». La vendita dei singoli immobili verrà poi effettuata nel corso del 2010 e del 2011, e sarà assistita dalla contestuale erogazione di mutui fondiari. A gennaio 2010 «in occasione della revisione ordinaria di posizioni appartenenti al Gruppo facente capo all’ing. Francesco Gaetano Caltagirone sono state deliberate proroghe a linee di credito ordinarie, di diversa forma tecnica, per complessivi 198 milioni di euro circa». Maggio 2010: il cda di Mps delibera un «incremento delle linee di credito ordinarie con utilizzo secondo varie forme tecniche per 175 milioni di euro a favore di Acea S.p.A», poi seguite da altri 15 milioni. La multiutility romana è ovviamente una partecipata da Caltagirone (allora al 13%, oggi al 15).
Poi c’è Fabrica Immobiliare. In teoria, la società non ha un socio di controllo: Caltagirone, tramite Fincal, detiene il 49,9%, e così pure Mps, mentre la parte restante è di Alessandro Caltagirone, figlio dell’ingegnere romano. Grazie a questo assetto proprietario, nessuno è tenuto a consolidare la sgr sui propri bilanci. Proroga di linee di credito ordinarie per rilascio di fideiussioni finanziarie per 4,64 milioni alle nuove concessioni creditizie per 19,241 a favore di Fabrica Immobiliare e di fondi dalla stessa gestiti (aprile 2009). Due mesi dopo, è la volta di del Fondo Forma Urbis: mutuo da 14 milioni. Altri due mesi, e ancora il cda di Mps delibera una «nuova concessione di linee di credito utilizzabili in varie forme tecniche per 39,4 milioni a favore di Fabrica Immobiliare e dei fondi Pitagora, Etrusca Distribuzione e Socrate. Tutti gestiti da Fabrica Immobiliare. L’annata, però, è buona: così tre mesi dopo, a novembre, arriva una«concessione a favore del fondo Socrate, gestito da di Fabrica Immobiliare, di affidamenti a carattere ordinario per 35,1 milioni». L’ultima erogazione di cui si ha notizia è della primavera 2010: «Concessione di una linea di credito fondiaria/edilizia per 36,5 milioni a favore di Fabrica Immobiliare in qualità di gestore del fondo immobiliare chiuso Seneca». Guarda caso proprio nel fondo Seneca gestito da Fabbrica Immobiliare venne ceduta l’area di Tor Pagnotta, a Roma, dove era prevista la costruzione della Residenza Cartesio già offerta (senza che l’affare si fosse mai realizzato) a Generali. Area poi girata a un altro fondo immobiliare gestito da Investire Immobiliare Sgr. Nonostante i rilievi agli investimenti di portafoglio e la decisione di riallocare i propri investimenti dal Montepaschi a Generali e UniCredit, l’intreccio di affari e relazioni tra Mps e il gruppo Caltagirone non si è interrotto mai del tutto.
Mussari e Vigni avevano un disperato bisogno di vendere immobili per mantenere i dividendi che garantivano loro potere e consenso, Caltagirone era un interlocutore perfetto, per di più socio/amministratore e al diavolo conflitti di interessi e amenità del genere. L’amicizia con Fazio, il governatore della Banca d’Italia, garantiva un occhio di riguardo e la legge 215 del 2004 del governo Berlusconi l’impunità legale. Un fiume di denaro in piena mentre si muovevano miliardi per parare i colpi della pessima acquisizione di Antonveneta e si imbellettavano i bilanci con spericolate quanto dannose operazioni con i derivati. Caltagirone non si era accorto del proliferare di acquisti di titoli di stato (almeno fino a settembre 2011), nè si era chiesto con quali soldi una banca da 12 miliardi di capitalizzazione comprava per più di 28 di italianissimi Btp, mentre la liquidità per la clientela composta da Pmi e famiglie scemava. Si era appena realizzato un aumento di capitale da 2,2 miliardi di euro (luglio 2011) e in appena due mesi – presentazione della semestrale fine agosto 2011 – era già chiaro che il principale motivo per cui veniva richiesto l’aumento (ovvero la restituzione dei Tremonti bond) sarebbe stato disatteso.
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