SIENA. E' condiviso che, oramai, studiare e formarsi nel territorio sia sinonimo di esser coglioni, insomma, direbbero gli inglesi, tutto il contrario di "cool". Tanto poi un lavoro te lo trova la famiglia, bussando a casa degli amici… E la ragione è la seguente. In un'economia in cui la politica media e sostituisce gran parte delle transazioni tra gli agenti economici, i mercati non esistono, o meglio, vengono sostituiti dalle relazioni amicali tra dirigenze politiche. Oltre a portare inefficienze strutturali, che chiunque abbia studiato dei fondamenti di economia politica potrebbe agevolmente comprendere, questo procedere porta ad incidere sugli incentivi, annullandoli. Al contrario, in una società in competizione, innanzitutto si rinnova la classe dirigente, dove una nuova prende il posto di quella vecchia ormai sterile, gerontocratica e da tempo seduta a guardare. A patto però che non si cloni una finta-nuova classe dirigente, attraverso accordi e cooptazioni.
Ritornando agli incentivi, quelli ad informarsi, a ragionare con la propria testa, ad esprimersi, a partecipare, a specializzarsi e ad assumersi rischi per avviare una propria impresa, questi vi sono solo quando il sistema economico li predispone. Diremmo a questo punto che il nostro territorio non offre certi incentivi individuali. E lo snodo principale è costituito appunto dal rapporto tra formazione e mercato del lavoro. Primo, nella nostra economia, il mercato del lavoro è sommerso, perché chi controlla il mercato del lavoro ha il vantaggio di incrementare il bacino di elettori potenziali, ovvero la clientela politica. Pare, quindi, che la seconda repubblica abbia ereditato i vizietti della prima repubblica. Secondo, tutto è drammaticamente relativo. Nel senso che conta la famiglia da cui si proviene, non la scuola in cui ci si è formati, e con quali risultati . A seconda della famiglia di cui si fa parte si può accedere alla stessa classe sociale, classi che oggi appaiono rigidamente separate, con scarsissima mobilità sociale. Pare che la struttura sociale medievale si sia riprodotta a inizio del terzo millennio. Terzo, il più antipatico, la cooptazione è regina del nostro sistema socio-economico. Ma come è possibile parlare di produttività e competitività quando, alla base, abbiamo la cooptazione? Senza una sana competizione si finisce per mediare su qualsiasi cosa, con una tendenza alla pianificazione centrale, che si è dimostrata inefficiente e tutt’altro che efficace.
E' chiaro che tutto questo non produce l'incentivo a crescere. Anzi produce l'effetto di una società ripiegata su sé stessa, avvitata e ingessata dove si finisce, o per emigrare, o per accontentarsi. Entrambe queste "opzioni" producono effetti drammatici. La prima, l'emigrazione, perché priva il territorio di prezioso capitale umano che è stato, appunto, formato con dispendio di risorse dello stesso territorio! Insomma, una doppia emorragia, che tutti nascondono sotto il tappeto. La seconda, l'accontentarsi, provoca un effetto perverso nella fiducia nel libero mercato, una ricaduta nell’autostima e una cultura degli "sbarramenti" per cui non vale la pena di investire e formarsi, perché non servirebbe a nulla.
Perciò, desideriamo concludere con una domanda. Qual è il vero ascensore sociale del nostro territorio? Noi vorremmo che si rispondesse la scuola, e non la raccomandazione, il cognome, la storia della famiglia da cui si proviene. Sennò si è conservatori, non progressisti. Altrimenti si è lobbisti e corporativistici, non liberisti.
Grazie, info@giovani-democratici.it
Associazione “Giovani Democratici”
www.Giovani-Democratici.it
Ritornando agli incentivi, quelli ad informarsi, a ragionare con la propria testa, ad esprimersi, a partecipare, a specializzarsi e ad assumersi rischi per avviare una propria impresa, questi vi sono solo quando il sistema economico li predispone. Diremmo a questo punto che il nostro territorio non offre certi incentivi individuali. E lo snodo principale è costituito appunto dal rapporto tra formazione e mercato del lavoro. Primo, nella nostra economia, il mercato del lavoro è sommerso, perché chi controlla il mercato del lavoro ha il vantaggio di incrementare il bacino di elettori potenziali, ovvero la clientela politica. Pare, quindi, che la seconda repubblica abbia ereditato i vizietti della prima repubblica. Secondo, tutto è drammaticamente relativo. Nel senso che conta la famiglia da cui si proviene, non la scuola in cui ci si è formati, e con quali risultati . A seconda della famiglia di cui si fa parte si può accedere alla stessa classe sociale, classi che oggi appaiono rigidamente separate, con scarsissima mobilità sociale. Pare che la struttura sociale medievale si sia riprodotta a inizio del terzo millennio. Terzo, il più antipatico, la cooptazione è regina del nostro sistema socio-economico. Ma come è possibile parlare di produttività e competitività quando, alla base, abbiamo la cooptazione? Senza una sana competizione si finisce per mediare su qualsiasi cosa, con una tendenza alla pianificazione centrale, che si è dimostrata inefficiente e tutt’altro che efficace.
E' chiaro che tutto questo non produce l'incentivo a crescere. Anzi produce l'effetto di una società ripiegata su sé stessa, avvitata e ingessata dove si finisce, o per emigrare, o per accontentarsi. Entrambe queste "opzioni" producono effetti drammatici. La prima, l'emigrazione, perché priva il territorio di prezioso capitale umano che è stato, appunto, formato con dispendio di risorse dello stesso territorio! Insomma, una doppia emorragia, che tutti nascondono sotto il tappeto. La seconda, l'accontentarsi, provoca un effetto perverso nella fiducia nel libero mercato, una ricaduta nell’autostima e una cultura degli "sbarramenti" per cui non vale la pena di investire e formarsi, perché non servirebbe a nulla.
Perciò, desideriamo concludere con una domanda. Qual è il vero ascensore sociale del nostro territorio? Noi vorremmo che si rispondesse la scuola, e non la raccomandazione, il cognome, la storia della famiglia da cui si proviene. Sennò si è conservatori, non progressisti. Altrimenti si è lobbisti e corporativistici, non liberisti.
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