E' l'unica percezione dei commentatori nazionali delle vicende senesi
di Red – foto di Corrado De Serio
SIENA. Sulla stampa nazionale c’è ancora molta incredulità sul fatto che per il controllo del Monte dei Paschi sia in corso una guerra intestina alla sinistra italiana. Si cercano i dati economici per giustificare le difficoltà della banca e la probabile fuga della clientela, se non miglioreranno i messaggi verso la stabilità. Alimentare i conflitti con i sindacati certo non aiuta, annunciare provvedimenti che non si realizzano, altrettanto. Eppure i dati di fatto non darebbero adito a incertezze. Umberto Cecchi rivede, negli avvenimenti che segnano la storia politica senese dalla candidatura di Franco Ceccuzzi a sindaco fino ad oggi, la lotta fratricida che anni fa portò alla distruzione della Cassa di Risparmio di Prato, banca decaduta poi ceduta prima al Monte stesso e ora di proprietà della Popolare di Vicenza.
“Nel Caso della CR Prato fu una battaglia interna alla Democrazia Cristiana, e se ben ricordo, fu uno scontro fra De Mita e Andreotti – scrive Cecchi – la Cariprato entrò nella crisi vera nel momento in cui, cambiati i vertici, cominciarono le polemiche che coinvolsero il Comune e che portarono a sminuire il ruolo dell’istituto e indussero i clienti della banca a temere per i loro danari. Fu una corsa in discesa che a parer mio si sarebbe potuta evitare, ma non si volle. E la banca oggi non esiste più come istituto cittadino. Lo stesso rischio è oggi quello del Monte dei Paschi, che dopo anni di discussioni, di scontri interni al Pd e di scontri interni alla banca stessa, oggi rischia il suo futuro” (youandnews.com).
Altri mettono le vicende di Rocca Salimbeni in un avvilente contesto di schermaglie piddine che vanno dalla Lombardia di Penati, alla Telecom di Colaninno ai tempi di D’Alema presidente del Consiglio, l’acquisto di Fonsai da parte di Unipol fino ad arrivare a Siena. Su Linkiesta.it (di cui Profumo è uno degli 80 soci), Lorenzo Dilena ha scritto mesi fa: “Se a Siena c’è un politico locale che più di ogni altro ha manovrato sulla banca quello è proprio Ceccuzzi”. L’ex sindaco viene tratteggiato come “portatore di borracce” della Direzione Nazionale dei Ds, per far rispettare le volontà politiche dei vari D’Alema, Bindi, Berlinguer, Amato, Bassanini che non vorrebbero mollare il potere sull’istituto, nonostante che le mosse da loro “ispirate” abbiano portato alla rovina la banca e le persone che vi erano state messe alla guida, dal presidente della Fondazione Mancini (prossimo alla scadenza nel 2013 e non più candidabile alla Fondazione MPS) all’attuale presidente Abi Mussari. Che, ben lungi dallo smarcarsi dalla vicenda Antonveneta, rischia – tra avvisi di garanzia e rinvii a processo – di trascorrere i prossimi quindici anni nei tribunali. Non per fare l’avvocato, che è certamente la sua primaria specialità (come infelicemente ebbe a dire pubblicamente). Il partito non molla la presa e intorno a Profumo ha mantenuto “ben salde le colonne portanti dell’era mussariana: da Valentino Fanti (segretario del cda dal settembre 2006 e capo della segretaria di presidenza e direzione generale) ai due vicedirettori generali Fabrizio Rossi (capo del personale e snodo dei poteri interni della banca) e Antonio Marino (corporate banking) al capo delle relazioni esterne David Rossi, sodale ultradecennale di Mussari, con il quale aveva lavorato a suo tempo per conto del Comune”.
D’altra parte la consegna del silenzio suggerisce di tenersi buoni quelli che sanno. Marco Parlangeli non ha mai spiegato perché fu esonerato dal ruolo di Provveditore della Fondazione. Fu giusto pochi giorni prima che Mancini firmasse la cambiale chiamata “Covenant” che, indebitando Palazzo Sansedoni per oltre un miliardo con le banche (tra cui Mediobanca, che era il suggeritore della bontà dell’operazione e sopra vi ha lucrato ricche commissioni e interessi, un bel conflitto di interessi che andrebbe approfondito in Viale Franci), ha ridotto la Fondazione nel fantasma di una bella storia che non sarà più. L’impressione di Dilena, un osservatore che guarda con distacco alla città e alla sua gente, è che “a parte la locale Procura, nessuno ha voglia di fare i conti davvero con quello che è successo negli ultimi cinque anni. Cominciando dall’acquisizione di Antonveneta: quel qualcosa accaduto d’improvviso e che, scherzava Galbraith, ha separato il denaro dagli sciocchi”.
Speriamo si sbagli, almeno per salvare il rispetto per noi stessi.