SIENA. Puntuale il lavoro drammaturgico di Maria Maglietta, che riscrive il testo con l’adattamento di Marco Baliani, regista dello spettacolo. Attenta la trasformazione della lingua usata da Boccaccio in un linguaggio fluente, che conserva le parole, i suoni ed i ritmi della prosa trecentesca. Abile l’introduzione dei dialetti con i tre fratelli messinesi (IV, 5) e con Masetto da Lamporecchio trasformato nel Mutolo sardo (III,1), libertà della riscrittura che rimanda al plurilinguismo boccaccesco, caratteristico stile narrativo del Decameron proveniente dal parlato del XIV secolo. Queste sono le prime note che qualificano lo spettacolo (ieri 7 febbraio , in seconda replica), anche se il numeroso pubblico, scarsa purtroppo la partecipazione delle scuole, forse viene più incuriosito dalla presenza di Stefano Accorsi, attore conosciuto grazie a “L’ultimo bacio” di Gabriele Muccino, che si cimenta da alcuni anni in teatro con il progetto “Grandi Italiani”: prima Ariosto, poi Boccaccio, per ultimo Machiavelli. Lo spettacolo risulta un ottimo prodotto popolare, in cui gli interpreti, in tutto sei, si muovono con la destrezza degli attori della Commedia dell’Arte, imprimendo un ritmo dinamico alla recitazione nel complesso disinvolta e spumeggiante. Un gruppo che si muove in sintonia, riuscendo a coprire qualche punto debole nella perfomance, attraverso il proprio dinamismo ed entusiasmo, ed a rendere attuali le storie narrate, con riflessioni sul mondo di oggi. La storia, come nel testo originale, parte da Firenze in cui la peste semina morte. Una compagnia di attori, di cui Stefano Accorsi è capocomico, si rifugia in collina e lo spettacolo inizia con queste parole -..Nello mutevole loco dello teatrale sentire siano raccontate bene onde far dono alle eccellenze vostre di alcune favolette carpite con benevolenza all’antenato nostro Messer Giovanni Boccaccio acciocchè di molto diletto vi siano in codesta serata..- Sulla scena essenziale troneggia una sorta di vecchio camper, che richiama i carri con cui si spostavano le compagnie teatrali del passato; la nostra si prepara a rappresentare sette novelle, con la presenza di sei attori, che di volta in volta interpretano vari ruoli e storie, forti nella loro arte teatrale, ma non altrettanto nelle loro risorse materiali. Infatti le novelle sono inframmezzate da episodi della compagnia, che deve provvedere ai problemi quotidiani (le famose tagliatelle saranno mangiate alla fine dello spettacolo). La scelta delle novelle dà spazio alle burle ed alle ironie feroci (VII, 5 – Il geloso Arimino viene cornificato dalla bella moglie; IV, 2 – Frate Alberto dà a vedere ad una donna che l’Agnolo Gabriello è di lei innamorato) come alle tragedie (la storia di Tancredi e Ghismonda IV, 1). A volte segue un breve commento che pone l’attenzione sulla giusta pena che riceve colui che inganna o sulla triste sorte delle donne imprigionate ed uccise dal marito o dal padre. Temi quanto mai attuali. Il regista, Marco Baliani, nelle sue note infatti scrive – Abbiamo scelto di raccontare alcune novelle perché oggi ad essere appestata è l’intera società: mafie, corruzioni, impudenza dei potenti, menzogna, sfruttamento dei deboli…- inoltre -.. il riproporre il Decameron significa ricordare che possediamo tesori linguistici pari a quelli paesaggistici e naturali: un’altra Italia.-