Mauro Aurigi torna a parlare di uno dei suoi temi preferiti
di Mauro Aurigi
SIENA. Negli anni ’60 un indispettito Krusciov, presidente dell’URSS, in una dichiarazione indirettamente rivolta al presidente degli USA Kennedy, denunciò questo stranissimo e per lui inaccettabile fenomeno: i tre paesi ex-fascisti, Germania, Italia e Giappone, che avevano innescato la tragedia della seconda guerra mondiale e che erano stati sconfitti e messi in ginocchio per le enormi distruzioni sul loro territorio, neanche un decennio dopo la fine del conflitto si collocavano invece al vertice assoluto nella graduatoria delle economie più prospere del pianeta. Le potenze che avevano vinto, invece, avevano il fiato corto.
Difficile dargli torto se consideriamo cosa rappresentarono allora il poderoso “bum economico” germanico, l’eccezionale ripresa anche tecnologica del Giappone e il “miracolo economico” italiano (la “liretta”, neanche un decennio dopo la guerra, vinse per due volte l’oscar mondiale delle monete assegnato dall’inglese Financial Times).
Ma Krusciov – dobbiamo capirlo, poveraccio – soffriva di un grave svantaggio culturale: è vero che ebbe il merito di portare alla luce e condannare “il culto della personalità” di staliniana memoria, e anche il merito di cominciare a demolire “il muro” della guerra fredda, ma gli mancava ogni seria cognizione circa la democrazia e i suoi effetti. Così non riusciva a capire (e non solo lui!) che non la sconfitta militare aveva provocato quel triplice fenomeno, ma l’improvviso e immediato obbligo imposto dalle potenze vittoriose a Germania, Giappone e Italia di adottare – dopo decenni se non secoli di tirannide e oppressione – la democrazia come regime di governo.
Chi avesse qualche dubbio a proposito dei benèfici e immediati effetti derivanti dalla fine di un sistema dispotico e la sua sostituzione con un regime democratico, pensi alla Spagna. Soffocata dal franchismo per quasi mezzo secolo (1939-1975), dopo la morte del generalissimo Franco si riprende velocemente fino quasi a raggiungere il livello di prosperità dell’Italia. E l’avrebbe superato se non l’avesse fermata nel 2008 la crisi mondiale detta dei “subprime”.
Chiaramente effetto opposto ma altrettanto veloce avrebbe il passaggio più o meno repentino da un regime democratico a quello di “un uomo solo al comando”.
Ciò detto bisognerà che la Ue, se non vuole fare naufragio, si sbarazzi presto della fetida acqua di sentina rappresentata per il momento solo dall’Ungheria e dalla Polonia. Sempre ovviamente che non riesca prima, cosa di cui dubito molto, a rimetterle in riga.
La questione è preoccupante e non va sottovalutata. Dovrebbe ormai essere chiaro, perché è sotto gli occhi di tutti, che sempre e ovunque dove governino in pochi o, peggio, dove governi uno solo, il popolo fa la fame. Mentre invece dove governino in tanti (e quanto più questi tanti siano anonimi: vedasi la Svizzera e i paesi scandinavi), la prosperità è largamente diffusa tra la popolazione.
Elementare Watson!
Sì, elementare, ma non c’è, anche da noi, cieco più cieco di chi non vuol vedere. Infatti sui media è già apparso l’accorato appello “Più potere al Governo!” (che tacitamente vuol dire “Meno potere al Parlamento!”) enunciato anche e soprattutto da due consolidati e stagionati presunti comunisti come Napolitano e D’Alema. O, peggio, l’ipotesi imperiosa e agghiacciante di “Tutti i poteri a uno solo!” avanzata, non da esaltati giovani squadristi in camicia nera, ma da Salvini e compagnia jellante.
Mala tempora currunt!