In ballo anche i destini di migliaia di senesi costretti a trasferirsi per lavorare
di Red – Foto di Corrado De Serio
SIENA. E’ ora della definizione delle liste che saranno presentate per il rinnovo del CdA previsto per il 27 aprile. La Fondazione MPS continua a descrivere meraviglie dei suoi candidati (pare circoli ad uso e consumo di certa stampa un documento di autovalutazione realizzato dal CdA del gruppo senese), dilatandone le competenze al di là del loro reale valore e del rinnovamento che dovrebbero portare ma che rimangono sempre lottizzati politici.
I cosiddetti “grandi azionisti”, Aleotti, Axa, Unicoop Firenze e Gorgoni, dovranno decidere se correre separati o presentare una unica lista. Da parte sua Palazzo Sansedoni non accelererà la vendita della seconda tranche di azioni MPS in suo possesso – che è costretta ad alienare necessariamente entro il termine utile del 2 aprile per la presentazione di altre liste. Un favore a questi soci, secondo fonti vicine alla Fondazione, che non dimostra la mancanza di potenziali investitori, ma certifica il fatto che essi non dimostrano necessità di governance da soddisfare. E la pista estera rimane dunque la più accreditata, assieme ai fondi di private equity.
Gabriello Mancini – per effetto del covenant firmato nel luglio 2011 – è costretto entro la scadenza dello standstill (proroga del pagamento del debito complessivo per non aver ottemperato alle clausole del covenant) al 30 aprile prossimo a vendere la quantità di azioni concordate con il pool di creditori. Altrimenti la rinegoziazione delle scadenze debitorie non si potrà fare, e in Fondazione si vuole avere anche la certezza di mettere insieme una cifra sufficiente alla bisogna. Che non è solo per sanare parte delle esposizioni, ma comprende circa 200 milioni per assicurare l’operatività minima di Palazzo Sansedoni e permettere l’erogazione dei contributi necessari almeno a pagare le rate dei mutui accesi dagli enti locali con la garanzia della Fondazione, pena la caduta del “sistema Siena”. Gli enti potrebbero essere chiamati perfino al dissesto economico, per le manie di grandezza del recente passato. Ad esempio, con le ultime erogazioni della Fondazione nel 2011 l’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese ha pagato le prime rate di due mutui decennali di 5.380.000 euro complessivi, e le scadenze per 1.700.000 euro di altri cinque finanziamenti, quattrini che assolutamente l’AOUS non ha in bilancio (che chiude sempre in leggera perdita), e che servono a pagare sia il centro trapianti e terapie cellulari sia il centro di chirurgia robotica. I nuovissimi fiori all’occhiello della sanità locale che verrebbero smantellati e rimandati ai fornitori, causa morosità. Per tacere dei comuni…
Intanto Viola procede speditamente: dopo aver programmato la cessione di Biverbanca (in pole sembra accreditata la Popolare di Vicenza di Zonin) e Antonveneta, sarebbero in dirittura d’arrivo le cessioni di Consum.it e del Consorzio che gestisce il sistema informatico e il back office amministrativo del gruppo. Che già da diversi anni vede la presenza di personale indiano nella struttura di Via Ricasoli, con il grave ridimensionamento dei lavoratori di casa, e che potrebbe prendere la via dell’estero con i lavoratori senesi chiamati a difficili scelte di trasferimento coatto, come già sperimentato con la chiusura dolorosa della Bayer a Bellaria.
In ogni caso non si dovrà negare a Fabrizio Viola la possibilità di tagliare profondamente i costi e tentare di ritrovare livelli di redditività adeguati perché la Fondazione per prima ha bisogno come l’aria per respirare di tornare a godere di un dividendo.
Che sia giusto poi lasciarlo gestire alle persone che l’hanno portata quasi alla bancarotta, è un discorso che bisognerebbe affrontare subito. Rinviarlo sine die (come la famosa mozione del Consiglio Comunale sulla senesità, che nelle parole di Lucia Aleotti è già diventata toscanità, risentire l’intervista al Tg Regione per credere) serve solo a mantenere lo status quo.
Che in italiano significa “lasciare la poltrona ai soliti”.