Si starebbe trattando sul prezzo politico, come per Antonio Vigni
di Red
SIENA. Forte e chiaro. L’avvertimento è stato inviato a Gabriello Mancini con il solito “sistema Siena”, ovvero l’indiscrezione dal partito che governa la città da sempre. Pare che una vocina disinteressata abbia sibilato all’orecchio del presidente da San Gimignano: “Caro Gabriello, se non te ne vai facciamo dimettere in massa i deputati nominati in Fondazione da Comune e Provincia (tredici su sedici, ndr) così, sfiduciato, te ne dovrai andare per forza, senza nemmeno l’onore delle armi”. Avvertimento che serve non solo a Mancini e a tutto il gruppo degli ex-Dc che affollavano il convegno “pro veritate”, quello in cui ci si cosparse di cenere denunciando l’essere stato semplice servitore di altrui decisioni; ma anche a tutto il contorno della politica locale, di governo e opposizione: attenzione, nonostante la crisi della banca, al potere ci sono sempre i soliti noti. Perché teoricamente i deputati presenti in Palazzo Salimbeni sarebbero indipendenti fino alla cessazione del loro mandato nella primavera 2013, quindi nemmeno il Sindaco potrebbe ordinare loro di alzare le tende. Anzi, se per una volta non fossero d’accordo, hanno il potere di inceppare i meccanismi del consenso, non ratificando la nomina di Fabrizio Viola, ad esempio. L’ex amministratore delegato di Bper, che ha già rassegnato le dimissioni a Modena, sicuro che l’assemblea del 12 gennaio in Rocca Salimbeni sarà solo una formalità di rito, tanto – per molti – i componenti della Fondazione sono solo burattini senza fili.
Prima ancora che fossero rese pubbliche le buone intenzioni di Prc, Sinistra per Siena, Pdl e compagnia cantante (con relativi comunicati che i nostri lettori riempiono di commenti), esse si sono rivelate chiacchiere al vento. D’altra parte, a livello di gestione del potere cittadino, vediamo una distonia incredibile. Da una parte c’è il deputato che, piazzato a Roma con un grande avvenire nazionale, è ritornato precipitosamente in città esponendosi per una volta di persona fino a diventarne sindaco; dall’altra il presidente della banca, che vede il suo futuro proprio a Roma, proiettato nell’empireo della politica nazionale dal ruolo di presidente Abi. Un gioco delle parti abile quanto palese, a esclusivo consumo delle faide di potere interne. Anche il Fatto Quotidiano, che rispetta la consegna del silenzio imposta dal sindaco, è sicuro che Mussari sarà dimissionato la settimana seguente l’avvenuta acclamazione di Viola alla poltrona di Direttore Generale.
Ormai tutti a Siena hanno capito come il mastodontico portafoglio di BTp sia una delle cause principali del maggior declino di MPS, rispetto alle vicende legate alla crisi dei mercati finanziari. Un passo indietro. Antonio Vigni, una volta verificati i conti di Antonveneta, si rese conto che l’assenza di clausole di salvaguardia e la mancanza di due diligence rendeva impossibile rendere il “pacco” al Santander. Questi conti erano così disastrati che, a ogni livello, tutti i dirigenti del Monte se ne resero conto nel giro di qualche mese, ma tutti zitti: la paura regna sovrana, in fondo chi dirige è assimilato a un “deus ex machina” dalla pubblicistica governativa locale. Tutto certificato: ogni giorno i vecchi proclami di gloria del 2007-2008 dei vari Ceccuzzi, Cenni, Mancini sono su tutti gli organi di informazione. Qui vorremmo aggiungere la chicca del vecchio presidente della Provincia, Fabio Ceccherini: “ad operazione conclusa, Mps si collocherebbe ai vertici del sistema bancario nazionale pur restando fortemente legata al suo territorio, facendo così giustizia di tanti detrattori e luoghi comuni che sulla “senesità” del Monte si sono espressi in questi anni. Mps svolge un ruolo d’interesse generale per il Paese anche alla luce del fatto che Antonveneta torna ad essere sotto il controllo di una banca nazionale. Con questa operazione si ha la conferma che la “caricatura” di una Siena conservatrice e chiusa in se stessa è dunque sbagliata e strumentale. Ma in questa città si dimostra l’esatto contrario”. Acuta preveggenza: era l’8 novembre 2007.
L’integrazione dei sistemi informatici, col trasferimento a Siena di tutta l’amministrazione Antonveneta, certificò il bubbone. Era necessario trovare immediatamente una fonte di reddito certa che servisse allo scopo di creare utili per mascherare le perdite. Niente meglio dei BTp di Via XX Settembre: reddito certo, il titolo in quel momento con il rendimento più alto a parità di sicurezza! Il presidente fu subito d’accordo: le pressioni del ministro Tremonti, che aveva bisogno di finanziare il deficit crescente che gli procurava la gestione del governo Berlusconi, erano sempre più pressanti. E cominciò la frequentazione romana fra i due, che ha reso a Mussari la nomina a presidente Abi. E così si è arrivati a quella quantità di titoli emessi che rendono l’Italia poco credibile e chi ne detiene in quantità un soggetto a rischio. Solo che il rischio l’ha veramente corso la città, e oggi la città ha perso: l’Eba chiede 3,2 miliardi di euro di ricapitalizzazione.
Vigni sta andando via, e gli verrà concesso un congruo prezzo di buonuscita, speriamo siano azioni della banca e non contanti: aveva uno stipendio complessivo di 1.955.000,00 euro di cui 800.000,00 erano bonus (!), e altrettanti saranno dati sicuramente a Fabrizio Viola, neo acquisto, che pare in Bper guadagnasse qualcosa meno.
Si dice che stamani Mancini, dopo “l’avviso a scomparire”, abbia detto confidenzialmente di non aver proprio intenzione di andar via. Non “sponte sua”, si presume. In politica vuol dire che per mandarlo via bisogna pagare il congruo prezzo d’uscita. Niente di meglio che portare a Roma pure lui, fuori tiro dalla rabbia senese, come raccontano insistenti voci di corridoio.
SIENA. Forte e chiaro. L’avvertimento è stato inviato a Gabriello Mancini con il solito “sistema Siena”, ovvero l’indiscrezione dal partito che governa la città da sempre. Pare che una vocina disinteressata abbia sibilato all’orecchio del presidente da San Gimignano: “Caro Gabriello, se non te ne vai facciamo dimettere in massa i deputati nominati in Fondazione da Comune e Provincia (tredici su sedici, ndr) così, sfiduciato, te ne dovrai andare per forza, senza nemmeno l’onore delle armi”. Avvertimento che serve non solo a Mancini e a tutto il gruppo degli ex-Dc che affollavano il convegno “pro veritate”, quello in cui ci si cosparse di cenere denunciando l’essere stato semplice servitore di altrui decisioni; ma anche a tutto il contorno della politica locale, di governo e opposizione: attenzione, nonostante la crisi della banca, al potere ci sono sempre i soliti noti. Perché teoricamente i deputati presenti in Palazzo Salimbeni sarebbero indipendenti fino alla cessazione del loro mandato nella primavera 2013, quindi nemmeno il Sindaco potrebbe ordinare loro di alzare le tende. Anzi, se per una volta non fossero d’accordo, hanno il potere di inceppare i meccanismi del consenso, non ratificando la nomina di Fabrizio Viola, ad esempio. L’ex amministratore delegato di Bper, che ha già rassegnato le dimissioni a Modena, sicuro che l’assemblea del 12 gennaio in Rocca Salimbeni sarà solo una formalità di rito, tanto – per molti – i componenti della Fondazione sono solo burattini senza fili.
Prima ancora che fossero rese pubbliche le buone intenzioni di Prc, Sinistra per Siena, Pdl e compagnia cantante (con relativi comunicati che i nostri lettori riempiono di commenti), esse si sono rivelate chiacchiere al vento. D’altra parte, a livello di gestione del potere cittadino, vediamo una distonia incredibile. Da una parte c’è il deputato che, piazzato a Roma con un grande avvenire nazionale, è ritornato precipitosamente in città esponendosi per una volta di persona fino a diventarne sindaco; dall’altra il presidente della banca, che vede il suo futuro proprio a Roma, proiettato nell’empireo della politica nazionale dal ruolo di presidente Abi. Un gioco delle parti abile quanto palese, a esclusivo consumo delle faide di potere interne. Anche il Fatto Quotidiano, che rispetta la consegna del silenzio imposta dal sindaco, è sicuro che Mussari sarà dimissionato la settimana seguente l’avvenuta acclamazione di Viola alla poltrona di Direttore Generale.
Ormai tutti a Siena hanno capito come il mastodontico portafoglio di BTp sia una delle cause principali del maggior declino di MPS, rispetto alle vicende legate alla crisi dei mercati finanziari. Un passo indietro. Antonio Vigni, una volta verificati i conti di Antonveneta, si rese conto che l’assenza di clausole di salvaguardia e la mancanza di due diligence rendeva impossibile rendere il “pacco” al Santander. Questi conti erano così disastrati che, a ogni livello, tutti i dirigenti del Monte se ne resero conto nel giro di qualche mese, ma tutti zitti: la paura regna sovrana, in fondo chi dirige è assimilato a un “deus ex machina” dalla pubblicistica governativa locale. Tutto certificato: ogni giorno i vecchi proclami di gloria del 2007-2008 dei vari Ceccuzzi, Cenni, Mancini sono su tutti gli organi di informazione. Qui vorremmo aggiungere la chicca del vecchio presidente della Provincia, Fabio Ceccherini: “ad operazione conclusa, Mps si collocherebbe ai vertici del sistema bancario nazionale pur restando fortemente legata al suo territorio, facendo così giustizia di tanti detrattori e luoghi comuni che sulla “senesità” del Monte si sono espressi in questi anni. Mps svolge un ruolo d’interesse generale per il Paese anche alla luce del fatto che Antonveneta torna ad essere sotto il controllo di una banca nazionale. Con questa operazione si ha la conferma che la “caricatura” di una Siena conservatrice e chiusa in se stessa è dunque sbagliata e strumentale. Ma in questa città si dimostra l’esatto contrario”. Acuta preveggenza: era l’8 novembre 2007.
L’integrazione dei sistemi informatici, col trasferimento a Siena di tutta l’amministrazione Antonveneta, certificò il bubbone. Era necessario trovare immediatamente una fonte di reddito certa che servisse allo scopo di creare utili per mascherare le perdite. Niente meglio dei BTp di Via XX Settembre: reddito certo, il titolo in quel momento con il rendimento più alto a parità di sicurezza! Il presidente fu subito d’accordo: le pressioni del ministro Tremonti, che aveva bisogno di finanziare il deficit crescente che gli procurava la gestione del governo Berlusconi, erano sempre più pressanti. E cominciò la frequentazione romana fra i due, che ha reso a Mussari la nomina a presidente Abi. E così si è arrivati a quella quantità di titoli emessi che rendono l’Italia poco credibile e chi ne detiene in quantità un soggetto a rischio. Solo che il rischio l’ha veramente corso la città, e oggi la città ha perso: l’Eba chiede 3,2 miliardi di euro di ricapitalizzazione.
Vigni sta andando via, e gli verrà concesso un congruo prezzo di buonuscita, speriamo siano azioni della banca e non contanti: aveva uno stipendio complessivo di 1.955.000,00 euro di cui 800.000,00 erano bonus (!), e altrettanti saranno dati sicuramente a Fabrizio Viola, neo acquisto, che pare in Bper guadagnasse qualcosa meno.
Si dice che stamani Mancini, dopo “l’avviso a scomparire”, abbia detto confidenzialmente di non aver proprio intenzione di andar via. Non “sponte sua”, si presume. In politica vuol dire che per mandarlo via bisogna pagare il congruo prezzo d’uscita. Niente di meglio che portare a Roma pure lui, fuori tiro dalla rabbia senese, come raccontano insistenti voci di corridoio.