I conti in tasca di un anno in "discesa libera"
di Red
SIENA. La domanda è semplice: è giusto pretendere che le leggi dello Stato vengano rispettate? Oppure è una richiesta sovversiva? La legge che istituì le fondazioni bancarie rese ricca la città di Siena ben oltre i meriti della banca plurisecolare, con buona pace di chi afferma che sia stata l’inizio della fine. Miliardi di euro, la cui contropartita era il ben preciso obbligo di affidare il controllo della banca al mercato, di diversificare gli investimenti in modo da avere una rendita certa e costante nel tempo, di curare il territorio di riferimento con una azione equa e lungimirante. Ed è questo ciò che tutti i soggetti che hanno ricoperto ruoli dirigenziali di primo piano in tutti questi anni NON hanno fatto. Anzi, il controllo della Fondazione sul Monte dei Paschi si è divenuto ferreo, ossessivo e clientelare, con la maggioranza assoluta in assemblea MPS vanto dell’illegalità diffusa e tollerata perfino da chi a Roma doveva controllare, e non lo ha fatto. In cambio il ministero dell’Economia cosa ha ottenuto? Che la banca si accollasse l’onere di acquistare titoli di stato italiani in maniera esponenziale rispetto alle norme prudenziali sul patrimonio dell’ente, e ora ci si sdegna che PER CONSEGUENZA l’Eba richieda l’aumento di capitale che finalmente realizzerà lo scopo per cui fu fatta la legge: forse non si può sfuggire veramente al proprio destino. Ma i danni molti di più di quello che ci si poteva aspettare. Dipendenti di banca si finsero grandi banchieri, ragionieri strateghi finanziari, funzionari di partito leaders politici. Fino all’affare Antonveneta. La Fondazione fece il contrario esatto di quello che la obbligava la legge: smobilizzò e vendette i gioielli di famiglia per reperire i soldi che avrebbero sostenuto l’aumento di capitale senza perdere il controllo della banca. Atti politici ordinati e codificati nelle delibere di Comune e Provincia che oggi potrebbero essere atti d’accusa contro chi votò a favore: invece di diversificare e scendere nelle quote di banca MPS, il controllo si intensificava, la presa era feroce, la Giustizia e il Ministero assenti. Quando è arrivata l’ora dell’ultimo aumento di capitale si è consumato l’ennesima azione contro la legge dismettendo altri investimenti e facendo debiti per sottoscrivere, sempre con l’assenso del Ministero. Chi pagherà per questo? Esistono i piccoli dipendenti azionisti della banca? Si costituirà qualcuno parte civile per recuperare – dai protagonisti degli ultimi sedici anni di vita politico-finanziaria senese – quello che è possibile recuperare?
Oggi lo scenario è cambiato, le malefatte sono sotto gli occhi di tutti, abbiamo un nuovo Presidente del Consiglio che è anche Ministro dell’Economia ad interim. Egli ha la facoltà di commissariare la Fondazione prima e la banca poi, se necessario, e anche di procedere alla nazionalizzazione. Ha la facoltà di bloccare tutte le ingiunzioni di pagamento scaturite dal covenant (sottoscritto con leggerezza da parte di Palazzo Sansedoni) e riconsiderare tutte le dismissioni di partecipazioni che si stanno effettuando in questi giorni a prezzi davvero improbabili, tanto sono a rimessa. Poiché alla fine del percorso di vendita si otterrà l’esatto contrario degli ordini imposti dalla legge sulle Fondazioni bancarie – e invece di diversificare si appiattirà il patrimonio di Palazzo Sansedoni sulle sole azioni del MPS – non vorremmo che a qualche compratore dei gioielli della Fondazione venga contestato domani “l’incauto acquisto”.
Le clausole del covenant (definendo un aumento degli interessi da pagare in relazione al valore del titolo sotto una certa quotazione di borsa, peraltro facilmente gestibile al ribasso proprio dai creditori numerosi e ricchi e dai loro molti clienti), potrebbero portare il tasso di interesse reale oltre la soglia dell’usura come definito dalla legge 108 del 1996 e modificato dal DL n.70 del 13/07/2011, una data non casuale, visto che il prestito-cappio al collo veniva concesso proprio in quei giorni. Chi e perché nel decreto sviluppo di luglio ha inserito nell’art. 8 questo paragrafo senza il quale il ricorso al covenant era semplicemente USURA? I finanziatori, visti i tassi di interesse troppo bassi per la convenienza dell’operazione, si sarebbero tirati indietro? Se Gabriello Mancini avesse saputo, quando ancora il titolo senese veleggiava a euro 0,70 a inizio giugno, che a novembre sarebbe sceso sotto 0,30 euro, più che dimezzato, avrebbe firmato il covenant? Certamente no,anche per salvaguardare la propria posizione davanti alla legge, quindi siamo in presenza di una ennesima operazione a perdere di macroscopica evidenza solo per difendere le poltrone e il silenzio.
Prendiamoci la briga di fare il conteggio di quanto costa tutto ciò alla comunità senese. Il patrimonio netto della Fondazione, che ancora alla fine del 2010 – giusto solo un anno fa – valeva 5,5 miliardi di euro, oggi accusa 4 miliardi di perdite, oltre a 1,1 miliardi di debiti accumulati in pochissimi mesi. Nel caso di una impresa i libri sarebbero già in tribunale, a Siena si sta tutti zitti…
