L'Europa manca anche oggi la leadership politica che il mondo le chiede
di Red
SIENA. Quando si parla della crisi economica come prodotto della crisi politica, c’è sempre chi fa orecchie da mercanti. Un anno fa circa, il governo, quello eletto dal popolo con una legge elettorale contestata e contestabile, morì per la diaspora del Fli finiano. E’ stato ricostituito con l’arrivo dei Responsabili, ma diventò “altro” a cui il capo dello stato chiese di avere la fiducia delle camere. Ritornò a essere uno di quei governi di accordi sottobanco stile Prima Repubblica tanto esecrati dal presidente del consiglio, e soggetto agli umori dei peones di turno, proprio come una volta, un governo sottomesso ai “ricatti della politica” come gli stessi esponenti dei partiti usano dire. Lo spettacolo indecoroso della bocciatura dell’articolo uno dell’assestamento di bilancio, così importante per la gestione della crisi, ha confermato la scarsa considerazione che questo esecutivo ha di se stesso e di conseguenza nel mondo, e che alla nostra economia e finanza costano punti di spread, declassamenti di rating, interessi montanti sul debito. Non ci interessa “chi” governa (nel prossimo esecutivo il presidente del consiglio potrebbe anche essere lo stesso), ma l’autorevolezza di chi governa e la sua credibilità intrinseca, che è quella che i mercati giudicano e che non ci fa essere la palla al piede del risanamento europeo. Se poi ci si mette il Wall Street Journal a insinuare che, come la Grecia, anche l’Italia possa aver falsificato i conti pubblici per entrare nell’euro nel 2001, apprezziamo come la credibilità non sia la virtù della politica italiana. Pure illazioni senza alcun riscontro contabile, e ovvi riferimenti inglesi al partito della “gnocca” nello spirito della migliore disinformazione. Si pensa sia un diversivo per l’opinione pubblica inglese dai gravi problemi interni della Gran Bretagna, un diversivo alla tragica situazione delle banche franco-tedesche, stracolme di titoli di stato greci e di derivati mai legalmente contabilizzati, ma che stanno per affiorare. Valga l’esempio di Dexia, Max Bank e Erste Bank, valgano le dichiarazioni del ministro degli esteri francese Juppe a una audizione parlamentare, in cui riconosce che il governo di Parigi è pronto alla ricapitalizzazione degli istituti di credito transalpini. Trichet ha messo sull’avviso i mercati sulla necessità del coordinamento delle politiche europee sugli sforzi per la ricapitalizzazione delle banche. I mercati si sono comportati con cautela, chiudendo in leggero ribasso dopo 4 giorni buoni.
Due novità per la Grecia: avrà la tranche promessa di aiuti comunitari anche se non raggiungerà gli obiettivi di bilancio fissati per il 2011. Discorso a parte tra i bancari per Unicredit, che chiude con un progresso sostanzioso superando l’euro di valore per azione. MPS realizza un +0,97% a euro 0,418. Wall Street ha ondeggiato a lungo, ma ha dovuto concludere le contrattazioni senza sapere la notizia più attesa, Dow Jones a -0,15%. Infatti in Slovacchia attendevano proprio la chiusura a New York per votare il piano di allargamento del fondo europeo salva stati (Efsf). Il premier Radicova aveva posto la fiducia per non correre rischi, ma è stato battuto. Poiché senza l’approvazione del Parlamento Slovacco il voto favorevole degli altri 26 stati della Ue è nullo, la signora Iveta Radicova sarà costretta a chiedere un nuovo voto all’assemblea legislativa, visto che il fondo salva-stati è il cardine del piano di messa in sicurezza dell’Euro e, per quanto ridicolo possa apparire, basta il voto contrario di un piccolo stato da 5,5 milioni di abitanti per mettere in crisi l’elefante Ue da 502 milioni.
Oggi vedremo come reagirà il mondo della finanza mondiale e vedremo cose interessanti, speriamo non il panico dei mercati. Non sarà molto importante il downgrade che in serata Standard & Poor’s ha riservato alle banche spagnole: sappiamo che le agenzie di rating prendono atto della realtà conclamata delle cose, e si sono accorti che la bolla immobiliare spagnola peggiora con il peggiorare dell’economia del paese, verità che ogni persona di buon senso già stimava da mesi gravare sul paese iberico e che ha portato al ritiro dalla politica di Zapatero.
