Il pericolo di una bancarotta fraudolenta agita il sottobosco...
di Red
SIENA. Il fantasma di una prospettiva identica (bancarotta fraudolenta) a quella della Mens Sana Basket avrebbe spinto chi sovraintende alle questioni del Siena Calcio a entrare in azione, visto che Massimo Mezzaroma ha dimostrato di non avere più margini di manovra. La bancarotta fraudolenta scoperchierebbe un vaso di Pandora calcistico che – tutti lo possono facilmente immaginare – riserverebbe tante brutte sorprese, anche se chiarirebbe se nella storia recente della società ci siano stati im-prenditori o prenditori: alle fontane dei diritti televisivi e della benevolenza della banca con fidi e finanziamenti che vanno oltre la semplice sponsorizzazione si sono abbeverati in parecchi…
La sequenza temporale dell’escalation che ha portato lunedì sera Mezzaroma a dichiararsi pronto a vendere dimostra che nell’ultima settimana c’è stata una accelerazione; la sconfitta interna di sabato è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Perché nell’ottica della sopravvivenza l’obiettivo della serie A è improcrastinabile, ma occorre qualcuno che abbia il capitale per giungere a fine stagione, concentrandosi solo sull’obiettivo: se in trasferta a Latina la squadra dovesse andarci col pullman del TraIn la mattina del sabato per evitare la spesa di cena e pernottamento del venerdì in albergo, il fatto che questa gestione non è solo alla frutta ma piuttosto all’ammazzacaffè, ucciderebbe ogni velleità gladiatoria dei giocatori. Altro che orgoglio e senso di appartenenza (la cosiddetta “maglia”).
Ci siamo chiesti, senza trovare risposta, come abbia utilizzato il presidente della Robur i 10 milioni ricevuti (il famoso “paracadute”) dalla Lega e anticipati dalla banca. Dove siano finiti gli incassi dei giocatori venduti. Eppure non risulta che gli stipendi dei giocatori siano in pari, né lo siano le spese di lavanderia: dell’Irpef e F24 vari tutti sanno. Né che il debito con banca MPS sia sceso dai 70 milioni che i soliti bene informati raccontano esserci. Né come si intreccino con le centinaia di appartamenti invenduti del gruppo Mezzaroma (la crisi c’è, non si può negare) e con i mutui concessi da Rocca Salimbeni per costruirli. Nessuno sa spiegare come possa esistere un debito con un avvocato del vecchio presidente per consulenze o amenità del genere (i “servizi” della Mens Sana?) e perchè sia stato lasciato consolidare nel tempo senza fare opposizione quando era il momento. Sembra una spada di Damocle che, a piacere di qualche regista, appare e scompare per fare pressioni. Due volte in un anno, due volte ritirata la richiesta di fallimento. Una terza volta un giudice la prenderà come una cosa seria?
Stavolta però il ritiro dell’atto in tribunale sarebbe stato provocato da un intervento dall’alto (leggi la solita Roma della politica), e non per fini elettoralistici. I 230 voti che un paio di tifosi Robur agitavano al dibattito sul nuovo stadio all’Università per Stranieri sapevano tanto di voto di scambio tra poveri. Forse anche nella Capitale ci credono che 73 milioni possano provocare una pioggia di quattrini facili come ai bei tempi di Mussari: se poi dovesse rimanere una cattedrale nel deserto quel centro commerciale che sicuramente desertificherà tutte le vie del centro che non siano nel percorso dei turisti, ci sono troppi a cui non interessa, come non interessava l’acquisto di banca 121. Per tacer di tutto il resto.
Spiazzato il sindaco Valentini dalle anticipazioni di stampa del lunedì (a cui Mezzaroma ha dato seguito con l’annuncio nel giro di pochissime ore non solo della disponibilità a vendere ma anche dell’esistenza di una trattativa che, pensiamo, si concluderà velocemente), il sindaco si è accodato con scarsa disinvoltura il giorno dopo: rispetto a qualche anno fa non hanno nemmeno più bisogno di farci credere che le decisioni sulla città si prendono in città.