C’è da preoccuparsi e neanche poco
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di Mauro Aurigi
SIENA. Draghi? Vado a naso (correggetemi, se sbaglio), ma può anche darsi che il Draghi che ora guida il governo italiano sia lo stesso Draghi che fu direttore generale del ministero del Tesoro con i governi Prodi e D’Alema e anche quando Ciampi fu ministro del tesoro (tutti, Draghi compreso, grandi privatizzatori di beni pubblici!). Quella fu l’epoca della realizzazione dell’affare con i Benetton per la privatizzazione delle autostrade. Affare per i Benetton naturalmente, perché per la comunità, che quel bene aveva salatamente pagato e del quale era dunque la proprietaria, si è rivelato un bidonata miliardaria, anche con morti e feriti. Come se non fosse risaputo che da quando il mondo è mondo ogni privatizzazione va in porto solo se il privato ci straguadagna (non a caso il termine “privatizzare” ha la sua radice in “privare”), mentre il pubblico – è morale politica corrente – ci rimette sempre e tanto, ma non ci fa neanche caso a quello che perde.
Mi sbaglio ancora una volta, se penso che si tratti dello stesso Draghi che da direttore generale del Tesoro aiutò e sostenne la rovinosa privatizzazione del Monte dei Paschi (1995), madre di tutte disgrazie successive, e da governatore della Banca d’Italia firmò nel 2007 il nullaosta per il Monte dei Paschi all’acquisto per ben 9 miliardi della Banca Antonveneta? E ciò appena tre mesi dopo, se ricordo bene, che una nutrita ispezione della sua Banca d’Italia avesse appurato lo stato precomatoso (ossia valore quasi pari a zero) della banca padovana. La Banca d’Italia e quel Draghi poi si guardarono bene dal seguire l’esito di quell’acquisto, perché se l’avessero seguito avrebbero appena in tempo scoperto:
- che lo spagnolo BancoSantander aveva da poco rilevato per oltre 6 miliardi dalla olandese ABN AMRO, su compromesso (ossia per rivenderla), la Banca Antonveneta;
- che il Monte dei Paschi avrebbe comprato l’Antonveneta dalla banca spagnola per ben 9 miliardi, ossia con un utile del 50% per gli spagnoli, al quale utile però vanno aggiunti 1,5 miliardi, tanto valeva Interbanca spa, la migliore azienda del gruppo Antonveneta che il Banco Santander pensò bene di scorporare e tenere per sé (un gran giro finanziario a cui, secondo Wikipedia, erano direttamente o indirettamente interessati anche due di quei “capitani coraggiosi” tanto cari a D’Alema: Gnutti e Colaninno);
- che il Monte dei Paschi acquistò l’Antonveneta a scatola chiusa senza alcuna visita ispettiva e senza alcuna clausola di garanzia precauzionale;
- che del tutto inaspettatamente si scoprì che l’acquirente di Antonveneta, chiunque egli fosse, era obbligato a rimborsare anche un prestito di 7 miliardi che la ABN AMRO aveva fatto all’Antonveneta, per cui il conto per il Monte, tra trippole e trappole, saliva a ben 18 miliardi;
- che la Banca Antonveneta in realtà non valeva neanche 1 miliardo (fu contabilizzata a bilancio per meno di 3 miliardi: il resto, ossia 15 miliardi, fu contabilizzato a “avviamento”(sic!), quasi a presa in giro degli azionisti (soprattutto dell’azionista maggioritario, la Fondazione MPS);
- che il presidente del Banco Santander, Botin, dichiarò ai pm del tribunale di Siena che tutta la questione fu trattata in 48 ore con solo tre telefonate e senza alcun incontro ufficiale o ufficioso.
Morale della favola: non c’è migliore dimostrazione di questa che la privatizzazione dei beni pubblici è la migliore strada per trasferire ingente ricchezza dal pubblico al privato. In tasca a quale o quali privati siano poi finiti quei 18 miliardi pagati per l’Antonveneta non mi è dato di sapere.
Mi è stato chiesto se dopo, dalla Bankit e/o da Draghi, si fosse saputo altro, ma per quanto ne sappia la Banca d’Italia in proposito è sparita dai radar, mentre Draghi si assentò per causa di forza maggiore: dovette correre a Francoforte sul Meno a salvare l’euro.
Ma ora, se è sempre quel Draghi, è tornato perché deve occuparsi del governo italiano e quindi anche del Monte. E capirete che la cosa mi angoscia parecchio.