Per il presidente di Confassociazioni "E’ ora di rialzarsi e passare alle cose concrete ed alle soluzioni da realizzare"
di Angelo Deiana*
ROMA. Per “Rilanciare l’Italia facendo cose semplici” (il mio ultimo libro pubblicato da Giacovelli Editore), bisogna avere un orizzonte chiaro: bisogna fare rete, bisogna coinvolgere tutti, grandi e piccoli protagonisti, con i quali provare a tutti i costi a fare squadra. E’ per questo che bisogna esserci. Da parte di tutti. Non più generazioni perdute ma generazioni indispensabili. Generazioni di professionisti, manager, associazioni, imprese, lavoratori, giovani e altri che portano avanti, giorno dopo giorno, le proprie cause sul lavoro, nell’impresa, nelle Istituzioni, nella formazione, per la legalità e per i diritti.
I temi sui quali lavorare sono tanti. E’ per questo che, oltre alla conoscenza, c’è bisogno della capacità manageriale di scegliere, di fare sintesi. Perché volare è bello ma atterrare è tutto.
Ed è per questo che esiste un problema di classe dirigente (tutta e non solo quella politica) che dovrebbe cambiare la propria ottica. Non più i più bravi fra i fedeli. Ma i più fedeli tra i bravi. Ecco un possibile orizzonte positivo del Paese: combattere la mediocrazia, la malattia di chi ha paura di scegliere i più bravi perché mettono in discussione le leadership.
Anche perché da tanto tempo, l’Italia non cresce o cresce troppo poco. Da molto tempo una parte significativa delle nostre imprese perde competitività. Da troppo tempo, il 95% dei contribuenti dichiara redditi inferiori a 50.000 euro. Come facciamo ad essere quasi tutti “non ricchi”, anzi molti (teoricamente) sulla soglia di povertà, e possedere invece la terza ricchezza privata del mondo, circa 10mila miliardi di euro (dati Bankitalia) tra asset finanziari e immobiliari?
Qualcosa non torna, le ragioni di tutto questo sono molteplici e nessuno può ritenersi esente da responsabilità. Altro che poveri: siamo un Paese ricco, nascosto e seduto.
E’ anche per questo che l’orizzonte concreto per rilanciare l’Italia non deve essere quello di una mera crociata ideologica contro le rendite, l’immeritocrazia o l’ozio delle idee, ma quello di un nuovo modello di sviluppo in grado di offrire una visione d’insieme per il futuro. E soprattutto la capacità di riportare alla luce l’intelligenza e la ricchezza di questo Paese attraverso il paradigma della staffetta.
Perché la staffetta? Perché, in questo mondo nuovo, fatto di piattaforme ed ecosistemi a rete, è necessario correre con i primi senza dimenticare gli altri, anche se fossero gli ultimi. Come in una staffetta, non si possono dimenticare i compagni più deboli. Tanto, anche se si è più veloci e competitivi, non si può vincere da soli e, alla fine, si perde lo stesso.
Ma liberare le nostre menti dall’ansia della contrapposizione politica ed economica e creare una nuova classe dirigente con questa prospettiva mentale, implica un doppio salto mortale. Innanzitutto, bisogna pensare a lungo termine, quando i risultati non saranno necessariamente goduti da chi ha intrapreso azioni di sviluppo di questa nuova classe intellettuale di governo.
Ma non basta: il vero sacrificio è quello di accettare di lavorare per la propria stessa potenziale sostituzione, affermando l’interesse generale di tutti, in quota parte anche contro il proprio interesse particolare (personale, di ceto, di partito, di coalizione, di categoria, di cordata aziendale, eccetera).
Difficile ma non impossibile. E’ per questo che il tempo del declino, vero o finto, deve finire. E’ ora di rialzarsi e passare alle cose concrete ed alle soluzioni da realizzare.
*presidente Confassociazioni