Una storia infinita di conflitti di interesse e di tradimenti (parte prima)
di Marco Sbarra
SIENA. Le due parti “in tragedia” del sindacato
(Parte prima) Ma siamo sicuri che il celebre scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa abbia ambientato il suo “Gattopardo” in Sicilia? No, dico, perché la sua saga sembra calzare a pennello per la “gens senensis”.
Se i siciliani non hanno mai voluto rinunciare alla nostalgia per il vecchio status quo pur in presenza di continue invasioni “multiculturali”, i senesi non sono da meno. Anche se tramortiti da un “bombardamento nucleare”, continuano allegramente a mantenere al potere la vecchia guardia colpevole di “crimini di guerra”.
In questo quadro di disfacimento da basso impero troneggiano i sindacati di Rocca Salimbeni.
Qualche giorno fa “La verità”, un quotidiano dal pensiero forte uscito di recente e particolarmente apprezzato per le sue esclusive inchieste, ha dato ampio risalto ad un servizio dal titolo: “I giochi sporchi dei sindacati in Ubi Banca” in cui si dà conto che dalle carte di un’inchiesta giudiziaria sulla banca bresciano-bergamasca – in predicato fino a qualche tempo fa di acquisire il Monte – sarebbero emerse condotte non edificanti da parte di alcuni sindacalisti Fabi. I quali mentre garantivano trasparenza e autonomia dai vertici della banca (fra i quali risultano indagati personaggi eccellenti), in realtà si sarebbero accordati sottobanco per far confluire i voti nella loro disponibilità, in occasione di un’importante assemblea del 2013, a favore della cordata che controllava Ubi.
Come contropartita avrebbero ottenuto la nomina di due nominativi nel consiglio di sorveglianza a loro graditi e la istituzionalizzazione di un rapporto preferenziale con i vertici aziendali.
Se va doverosamente riportato che Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi – a sua volta tirato in ballo nella vicenda – ha seccamente smentito quella ricostruzione, è pur vero che gli appunti riportati nei diari di due persone indagate gettano una luce inquietante sul ruolo dei sindacati.
Se a Bergamo e a Brescia piove, a Siena non splende il sole, anzi diluvia.
Sindacare, come rivela l’etimo del termine, sta a significare: “Controllare individui, enti, amministrazioni e il loro operato, supervisionare, verificare” (fonte Treccani).
Andiamo allora a vedere come i sindacati del Monte abbiano controllato, verificato, fatto le pulci all’azienda, in particolare a partire dal periodo dell’acquisizione di Antonveneta.
In quel fatidico novembre 2007, nel coro assordante degli osanna e degli evviva tributati dall’intero mondo finanziario, si udirono le lodi stonate dei sindacati, che testimoniano di una loro servile subordinazione nei confronti della banca.
Così in un comunicato del quadrumvirato Fisac, Fiba, Fabi e Uilca. Non si ha tema di sbattere il “mostro” in prima pagina, il bubbone che è alla base del fallimento del sindacato. “Il consociativismo, l’unità d’intenti” non poteva che condurre non tanto ad un appiattimento, ma piuttosto ad una specie di “transustanziazione” del sindacato nel Monte, ad un suo dissolvimento “mistico” nell’Entità Superiore.
La Fisac, figlia prediletta di Rocca Salimbeni, per l’occasione pensò bene di lasciare ai posteri un proclama di vittoria tutto suo:
“Una crescita di grande valore: è la migliore risposta alle tante maliziose accuse del passato, si può crescere mantenendo forte il valore dell’autonomia e del radicamento territoriale”. Così Giuseppe Minigrilli e Antonio Damiani, rispettivamente segretario generale della Fisac/Cgil Toscana e segretario generale Fisac Gruppo Monte dei Paschi, a 24 ore dall’annuncio dell’acquisizione di Banca Antonveneta da parte di Mps, tornano a valutare positivamente la scelta che, “con coraggio” anche i sindacati hanno “condiviso”. Attraverso tale operazione, ricorda la Fisac in una nota, il Gruppo Mps rafforza ulteriormente il ruolo di terzo polo creditizio nazionale (35.000 dipendenti, 3.200 sportelli, 6.000.000 di clienti, 10% di quota mercato), con “coerenza” rispetto al piano industriale 2006-2009, mantenendo l’indipendenza “strategica” e riqualificando “quali-quantitativamente” la rete filiali. Damiani e Minigrilli, infine, concludono sottolineando “l’assoluta positività di un metodo di relazioni sindacali basato sul confronto e che ha permesso al Gruppo Mps di assumere una posizione di assoluto rilievo all’interno del settore creditizio e contemporaneamente di garantire integralmente i diritti dei lavoratori“.
Non c’è niente da fare: l’anima aziendalista del sindacato di sinistra non riesce proprio a trattenersi e prorompe fragorosamente. Uno dei due firmatari era Antonio Damiani, ancora oggi a capo della Fisac. Ebbe l’ardire di condividere la sòla Antonveneta, ma non ha ancora mostrato la dignità di vergognarsi e di dimettersi per il flagrante conflitto di interessi.
Quella sigla è stata un perno fondamentale nel sistema di comando di Siena e, in intima unione con il partito principe, ha determinato la politica del Monte.
Da quell’organismo sindacale sono passati tutti i sindaci di Siena dagli anni novanta in poi ad eccezione di Ceccuzzi, il quale in un’intervista clamorosa di qualche anno fa tirò in ballo proprio quel sindacato, che avrebbe esercitato “ingerenze nel Monte”, quel “sindacato bancario Fisac Cgil…(che) ha espresso ben tre sindaci e ha avuto sempre un peso fortissimo all’interno di Mps“. Detto da un sodale di partito come Ceccuzzi, è vangelo.
Testimonia la veridicità di un tale assunto la sfolgorante carriera manageriale di Fabio Borghi, diessino ed ex segretario provinciale Cgil, classico esempio di come funzionavano le nomine nel mondo Monte Paschi. Forte della sua esperienza come Segretario Generale della Camera del Lavoro di Siena, al marzo del 2009 aveva già rivestito importanti cariche apicali in 23 società e organismi vari, tra cui quella di amministratore del Monte, che avrebbe mantenuto fino al 2012, quando le sue mirabolanti capacità direttive furono messe al servizio di Mps Leasing.
Quali interessi avrà tutelato quel sindacalista? La risposta la offrono le quattro delibere della Consob che hanno sanzionato Borghi per un totale di 260 mila euro per violazioni varie inerenti l’acquisizione Antonveneta.
La Banca, che per prima ha pagato come debitore in solido, avrà provveduto ad esercitare il diritto di regresso nei confronti del Borghi, come da “obbligo” previsto nelle suddette delibere?
(FINE PRIMA PARTE)