I dati scaturiscono dal dossier presentato dalla Cia Toscana
SIENA. Ogni giorno i cinghiali e gli altri ungulati si “mangiano” 1.500-2.000 mila euro di colture agricole senesi. Che – sottolinea la Cia Siena – in un anno porta ad un totale di mancati fatturati per il settore agroalimentare locale davvero consistente: 351.237 euro nel 2010; 664.014 nel 2007, per una cifra complessiva dal 2005 al 2010 di 2milioni e 734.803 euro, che ne fanno di Siena la provincia più danneggiata dai danni degli ungulati in tutta la Toscana. E questi sono solo i dati della Regione Toscana, che per la Cia sono abbondantemente sottostimati. Un dato shock per la Cia senese, che commenta il Dossier dettagliato sull’emergenza ungulati presentato dalla Cia regionale. Scorribande di cinghiali (che sono la causa del 65% dei danni), caprioli e quant’altro nei vigneti e nelle campagne di tutta la provincia: i territori più colpiti sono i comuni del Chianti, della Val d’Elsa, della Val di Merse e Montagnola, la Val d’Orcia, Montalcino, Montepulciano, Murlo e Sinalunga. In Toscana ci sono 300mila cinghiali (sono la metà secondo i dati della Regione); 153mila caprioli, 8.800 daini, 3.600 cervi e 2.500 mufloni. E Siena, anche per capi rappresenta la prima provincia (circa un quinto regionale), soprattutto per cinghiali e caprioli. Senza tralasciare – ricorda la Cia Siena – i rischi per la sicurezza stradale (che sono triplicati negli ultimi dieci anni), e i rischi sanitari poiché gli animali sono portatori di parassiti e malattie infettive. Non basta questo quadro per dichiarare lo stato di emergenza?
«Nella discussione in atto sul Piano faunistico venatorio regionale – sottolinea il presidente della Cia Siena, Luca Marcucci – è necessario promuovere un piano che segni una netta discontinuità con il passato attraverso un nuovo progetto di gestione faunistica 2012-2015. Pianificare vuol dire elaborare un progetto che parte dall’individuazione e quantificazione dei problemi per definire gli obiettivi da raggiungere, e quelli intermedi; le azioni da mettere in atto, le modalità di verifica dei risultati. Se non si indica la strada – aggiunge il presidente Cia -, se non si guida il percorso è del tutto inutile mettere dei numeri». Se su un terzo del territorio provinciale, fatto di aree protette e istituti faunistici, non si interviene drasticamente, sono inutili tutti gli sforzi. Queste aree continueranno ad essere un comodo rifugio per gli ungulati. E poi fra le richieste la Cia Siena chiede di operare una drastica riduzione delle aree vocate; pianificare le azioni per raggiungere le densità sostenibili nelle aree vocate e eliminare gli ungulati nelle aree non vocate; quindi abbattere i danni attraverso un maggiore impegno per la prevenzione dei danni; garantire il pieno risarcimento dei danni subiti dall’agricoltura; e gestire tutta la fauna, anche le specie non cacciabili. «Dalla Regione Toscana – prosegue Marcucci – vogliamo indirizzi chiari. La Regione dopo aver adeguato negli scorsi anni le norme di Legge in materia di gestione faunistica, dotandosi di strumenti finalmente idonei ad una gestione efficiente, è chiamata oggi, con il Piano Faunistico Venatorio Regionale, a dare attuazione piena a quelle norme, muovendosi con determinazione per riportare in equilibrio la fauna selvatica, oggi fuori controllo in molte aree, e garantire la sostenibilità dell’agricoltura. Per fare questo occorre discontinuità e, – dice – coraggio nelle scelte, determinazione nella loro attuazione».
DANNI ECONOMICI – Già detto che Siena ha subito un danno di 2milioni e 734.803 euro dal 2005 al 2010 – secondi i dati ufficiali della Regione Toscana -, una cifra, secondo la Cia, molto lontana dalla realtà «perché non comprende – specifica Roberto Bartolini, direttore Cia Siena – i danni derivanti da predatori (canidi e lupi) e da altre specie non cacciabili in crescente aumento (piccioni terraioli, gabbiani); i danni alla selvicoltura (che non rientrano tra quelli soggetti a risarcimento); i danni non denunciati dagli agricoltori (spesso per lungaggine iter burocratici) ; le mancate semine dei terreni maggiormente soggetti alla pressione faunistica; le numerose situazioni di contenzioso giacenti o in corso di trattazione. E inoltre – aggiunge – c’è da considerare la frequente sottostima del danno, accettata in via transattiva dal produttore pur di non aprire contenziosi e la valutazione del prodotti destinati alla trasformazione, per i quali oltre al valore della materia prima l’agricoltore deve considerare la perdita di valore aggiunto del prodotto trasformato».
COLTURE DANNEGGIATE – A subire le maggiori conseguenze dei danni sono i cereali (34,09% del totale dei danni), che con le protoleaginose 12,21% (es.girasole) e le foraggere (8,79%) rappresentano il 55,09% dei danni riconosciuti; seguono i vigneti con oltre il 25,81 % (compresa l’uva comune); fruttiferi con il 4,68%; colture orticole 3,53%; olivo 2,49%; danni a strutture 1,95%; castagne 1,73; prodotti vivaistici 1,24% e i restanti danni riguardano le leguminose e altre colture.