Documento a "quattro mani" di Silvana Biasutti e dell'economista Francesco Silva
MONTALCINO. Il paesaggio toscano é l’esito storico di una lunga e fruttuosa collaborazione tra la natura e l’uomo. La prima ha donato la terra e il sole, il secondo il lavoro e l’intelligenza. Questa rispettosa collaborazione ha prodotto bellezza e crescente prosperità, ha reso famoso nel mondo queste contrade e i suoi migliori prodotti, che nell’immaginario universale s’identificano con questo paesaggio.
E’ poi subentrata la tecnologia, meccanica e chimica, che ha modificato il rapporto tra uomo e natura, inducendo l’uomo a sottomettere quest’ultima per garantirsi una maggiore prosperità, ma anche a sottovalutare i vitali e spesso precari equilibri che regolano la natura. Questo dominio é evidente nel paesaggio urbano, ma anche in quello agreste: si pensi all’uso della campagna come generica piattaforma coltivabile, agli effetti della chimica sulla biodiversità e sulla salute dell’uomo, a tutti gli squilibri geologici e ambientali. Si é colpito il cuore della natura, e ora il rischio é che la vittoria senza scrupoli della tecnologia offuschi l’esito storico di un’antica e fruttuosa collaborazione e l’immagine dei suoi prodotti.
Un’ importante conquista culturale, ma anche economica, di questi ultimi anni é l’idea che la collaborazione tra uomo e natura sia non solo necessaria, ma anche vantaggiosa: qualità dell’ambiente e del prodotto si accoppiano, perché é buono quel prodotto che oltre alle proprie qualità intrinseche é anche capace di rappresentare quelle dell’ ambientale da cui proviene. Ciò é vero soprattutto per una regione come la Toscana dove la storia umana ha lasciato in eredità una grande bellezza, troppo spesso trascurata dall’uomo contemporaneo, nella sua affannosa ricerca dell’oro. La tecnologia non é ovviamente superata, ma é diventata più intelligente, non domina, ma opera per rafforzare e migliorare la collaborazione tra natura ed uomo: una relazione proficua che coinvolge natura, uomo e tecnologia.
Produzione biologica e biodinamica ( rispetto alla quale la prima é solo il punto di partenza ), tutela ambientale, e quindi bellezza e salute sono parte di questa relazione, che non contrasta le istanze economiche. La difesa della qualità dell’ambiente e dei suoi prodotti é solo apparentemente un costo: in realtà é un beneficio.
La proposta di formare un “distretto biologico” rientra in questo nuova dimensione culturale e tecnologica. E’ altamente innovativa e indica un nuovo e intelligente senso che Montalcino può attribuire al proprio territorio. L’affermazione della viticultura biologica ne é un primo passo , che richiede riflessioni, condivisione e tempo. A tal fine appare necessario prefigurare un percorso di ascolto e di scambi di esperienze, che coinvolga una vasta platea di cittadinanza e porti anche a riflettere su esperienze internazionali analoghe. Conoscere noi stessi e gli altri per poter scegliere bene
Quello appena indicato non é però che un primo passo necessario. Non é pensabile che questa innovazione culturale, economica e tecnologica rimanga un’isolata avventura che riguarda solo le vigne. E’ opportuno parlare di “Distretto biologico” e non solo di “Distretto del vino biologico”, lanciando in tal modo un messaggio più forte e convincente: vino e territorio sono strettamente legati. Quindi anche le altre colture dovrebbero essere coinvolte in questa trasformazione biologica e biodinamica. Il divorzio tra ambiente e coltivazioni viene superato e ricomposto solo con l’accettazione generalizzata dei processi biologici e biodinamici, che riguardano gli uliveti, gli orti, e più in generale tutta la campagna. I nuovi modi di produrre comportano migliori condizioni di vita non solo per i produttori, ma anche per i cittadini. E ancora, arte e bellezza di cui questa regione é così meravigliosamente dotata, sono parti integranti di un’ambiente sano, naturale ed essenziale componente di questa nuova collaborazione e “complicità”.
Si va a costruire il Distretto biologico quasi portati dalla corrente di ciò che si legge, si sente e si vive quotidianamente. Bisogna però elaborare in profondità il senso vero di questa scelta per metterne in luce tutte le variegate sfaccettature e costituire un mosaico di stimoli e di risposte agli scetticismi magari tenuti un po’ sotto traccia (“intanto si fa il Distretto, poi si vedrà”), ma anche a slanci d’impulso.
Perché questa scelta non sia solo burocratica, o formale, affinché non si limiti a parole recitate nell’illusione che siano sufficienti a migliorare i posizionamenti del vino e del turismo sul mercato, essa non può essere lasciata a sé stessa e agli iter burocratici, ma non può nemmeno affidarsi ai numerosi comportamenti esemplari. È una scelta che va nutrita, discussa, elaborata, per trarne tutta la ricchezza di stimoli e di opportunità di cui è potenzialmente foriera. Occorre infatti formare una mentalità nuova, impresa affascinante, ma non semplice.
Quello che è prioritario costruire ora è un percorso per acquisire nuovi strumenti: per valorizzare sé stessi e la propria storia, con confronti e testimonianze, per capire meglio, per leggere meglio tutti gli aspetti inediti, nuovi vantaggi, nuovi obiettivi e appropriarsene: per assecondare e consolidare quel passaggio culturale ed economico verso la creazione di una mentalità diffusa che sostenga il distretto.
Silvana Biasutti
Francesco Silva