Il sindaco non sarebbe stato informato delle conseguenze delle scelte che faceva per la Fondazione
di Red
SIENA. Tutti si sono persi dietro alla formazione del nuovo schieramento di maggioranza, che si sta evidenziando nel Consiglio comunale senese, con la trasmigrazione delle Liste Civiche e dell’Udc nella maggioranza. Quasi nessuno ha fatto caso alla gravità di alcune affermazioni fatte dal sindaco di Siena in conferenza stampa.
Secondo l’Ansa, ieri Ceccuzzi avrebbe dichiarato che “Avessimo saputo in campagna elettorale che il 12 per cento delle azioni della banca erano già impegnati non avremmo detto che l’obiettivo era mantenere il 50 per cento. Sapendolo, tutti avrebbero detto che l’aumento di capitale era irrealizzabile. L’autonomia purtroppo non si conquista più avendo il 50 per cento come potevamo permetterci fino a ieri, ma solo con i risultati: quindi tanto più avremo i risultati, quanto più avremo autonomia e manterremo il legame con la città”. Si completa con questo tassello il puzzle del tentativo maldestro di smarcarsi dalle responsabilità dell’uomo di partito che controllava il territorio senese. Infatti si era votato a maggio e l’aumento di capitale si è fatto poi a luglio e quindi nessun pegno poteva essere stato sottoscritto durante la campagna elettorale. Di cosa parla Ceccuzzi?
Invece a La Nazione risulta una dichiarazione un po’ differente, MA DALLO STESSO RISULTATO FINALE: “un’altra data importante è il 2 luglio 2011 quando con il cambio di Provveditore (Pieri per Parlangeli, ndr) abbiamo scoperto che per finanziare il controllo della banca, la Fondazione aveva prodotto un indebitamento cui è legato lo scoperto di oggi. Se avessimo saputo del “trigg” (il patto riservato per cui i creditori possono chiedere il rimborso anticipato se il valore del titolo fosse sceso sotto i 30 centesimi di euro, ndr) non avremmo appoggiato l’aumento di capitale”.
Qui l’accusa a Gabriello Mancini di aver nascosto carte e conti per non far conoscere la verità dei fatti è palese, e rimanda nel campo avversario quella essere stato il mandante tecnico e morale dell’operazione che ha distrutto completamente Palazzo Sansedoni e le sue fortune economiche. Infatti, si ricorderà che Mancini, nell’ormai arcinoto “j’accuse” dello scorso dicembre, aveva detto il contrario; di aver ubbidito agli ordini dei capi (di cui non ha fatto nomi e cognomi), ma che risalirebbero per gerarchia di proprietà agli stessi sindaco e presidente di provincia di Siena.
Una penosa ricerca di giustificazioni alla quale la risposta dovrebbe essere, in uno stato di diritto, le dimissioni delle parti in causa, tanto è manifesta l’incapacità di gestire una cosa così delicata come la governance di un istituto di credito e della sua Fondazione. Se l’affermazione del sindaco fosse vera, poiché la chiusura dell’aumento di capitale di MPS è avvenuta l’8 di luglio 2011, c’erano ancora sei giorni di tempo per fare marcia indietro dalla defenestrazione di Parlangeli, il quale a questo punto dovrebbe spiegare a tutti quale tesi difendesse: coprire o non coprire l’aumento di capitale?
Va bene qualunque risposta: in ogni caso la classe dirigente senese ne uscirà con le ossa rotte. Ma che non si appiglino alla salvaguardia del valore del titolo in borsa, visto che poi comunque è – logicamente – andata a finire con l’azione precipitata a 0,197 euro l’8 gennaio 2012.