Il direttore de La Nazione licenziato in tronco per una linea editoriale non "consona" al volere dell'editore

di Raffaella Zelia Ruscitto
SIENA. Ci risiamo. Purtroppo l’abitudine rende sempre più difficile afferrare la gravità delle cose. Ci si abitua a tutto. Alle buone notizie e… soprattutto a quelle cattive.
Il licenziamento in tronco di un direttore da un giornale importante come La Nazione, un “bliz” come è stato definito da molti giornalisti, lascia l’amaro in bocca. Non tanto e non solo per le modalità. Un editore può liberamente decidere di mandare a casa un giornalista perchè ritiene che le sue capacità non siano all’altezza del suo stipendio o delle aspettative legate al suo nome. Quello che indigna – o che dovrebbe indignare i lettori assidui dello storico giornale – è la ragione della “defenestrazione” di un professionista che, per libera scelta e per manifesta professione, ha il compito di dare notizie, rispondendo in primis alla propria coscienza (per chi ne ha una) e poi alla deontologia del mestiere.
Ne hanno parlato tutti tra ieri e oggi. La notizia è nota. Pare che Andrea Riffeser Monti si sia invelenito per i toni con cui il giornale ha narrato le vicende Mps. Senza tatto… e che diamine! Va bene raccontare la situazione per quello che ormai appare evifente anche ai non addetti ai lavori, ma si può sempre “minimizzare”, dire che le cose non sono proprio come sembrano. Magari che a tutto c’è rimedio salvo che alla morte e alle tasse! (E in Italia neppure a quelle, in verità)
Insomma, la testa di Mauro Tedeschini è caduta; come quella di San Giovanni. La “Salomè” pare sia stata proprio la dirigenza della banca senese, stanca di leggere sui giornali critiche su critiche; numeri seccantemente negativi che mettono di malumore gli azionisti. E pare che lo zampino ce l’abbia messo anche un nuovo azionista di peso della banca: tale Aleotti, gruppo Menarini. Se non nella cacciata del vecchio direttore, almeno nella scelta del nuovo: Gabriele Canè, pare amico di Lucia Aleotti, con cui sarebbe stato intercettato per vicende legate alla Menarini (un danno al sistema sanitario che ammonterebbe a 860 milioni di euro, come riporta anche Il Fatto Quotidiano), mostrando una benevolenza tutt’altro che da “cane da guardia dell’opinione pubblica”.
Un direttore, quindi, meno “recalcitrante” al volere dell’editore e delle lobby di potere toscane, a cui lo stesso Riffeser Monti è legato a doppio filo, e più “amico” delle persone che contano. Quelle che dovrebbero essere “interessanti” giornalisticamente parlando diventano quelle “papabili” per cercare nuovi slanci alla carriera o denaro sonante per tenere in piedi il gioco delle parti.
Mentre a Rapolano proprio in queste ore a teatro si rivive il dramma di Ilaria Alpi, ci troviamo a difendere il lavoro di un giornalista che non voleva fare altro che il suo mestiere (e quindi dovere) e che proprio per questo è stato licenziato. Un fatto che fa venire la nausea e che dà esattamente la misura del totale tracollo del costume e della moralità nel nostro Paese. Pare di essere tornati nei secoli bui.
Per l’informazione è uno dei momenti più bassi e indecorosi della storia. In concomitanza con l’aumentare degli utenti dell’informazione libera online, si assiste ad un progressivo deterioramento del concetto stesso di giornalismo. Quest’ultimo non è più un mestiere tra i più liberi e bisognosi di indipendenza (al punto da essere inseguito e praticato da giovani di belle speranze e di grandi ideali non ancora infranti); ormai un giornalista può essere paragonato ad un sensale, un “traduttore” del potere dato in pillole ai lettori. Ogni lobby ha il suo personale “portavoce”: un fido inbonitore che metterà in evidenza il bene e saprà nascondere il male con la maestria della sua penna. E proprio come la politica, anche il giornalismo ha perso la sua credibilità in questi anni di amara decadenza.
E chi si lamenta, oggi, di quanto accaduto all’interno de La Nazione? Indovinate un po’? Chi si è indignata per prima? Ma è chiaro! Proprio la politica. Con tanto di interrogazioni in Parlamento. A sollevare il caso l’onorevole Fabio Evangelisti, segretario IdV in Toscana. “La rimozione del direttore de La Nazione Mauro Tedeschini costituisce un grave sintomo delle storture che affliggono il nostro sistema informativo. Da quanto si apprende, infatti, le notizie pubblicate da La Nazione sulle vicende interne al Monte dei Paschi di Siena non sarebbero risultate gradite al gruppo di controllo della banca stessa, e sembra dunque che questa abbia premuto con la proprietà del giornale per ottenere la rimozione del direttore”.
SIENA. Ci risiamo. Purtroppo l’abitudine rende sempre più difficile afferrare la gravità delle cose. Ci si abitua a tutto. Alle buone notizie e… soprattutto a quelle cattive.
Il licenziamento in tronco di un direttore da un giornale importante come La Nazione, un “bliz” come è stato definito da molti giornalisti, lascia l’amaro in bocca. Non tanto e non solo per le modalità. Un editore può liberamente decidere di mandare a casa un giornalista perchè ritiene che le sue capacità non siano all’altezza del suo stipendio o delle aspettative legate al suo nome. Quello che indigna – o che dovrebbe indignare i lettori assidui dello storico giornale – è la ragione della “defenestrazione” di un professionista che, per libera scelta e per manifesta professione, ha il compito di dare notizie, rispondendo in primis alla propria coscienza (per chi ne ha una) e poi alla deontologia del mestiere.
Ne hanno parlato tutti tra ieri e oggi. La notizia è nota. Pare che Andrea Riffeser Monti si sia invelenito per i toni con cui il giornale ha narrato le vicende Mps. Senza tatto… e che diamine! Va bene raccontare la situazione per quello che ormai appare evifente anche ai non addetti ai lavori, ma si può sempre “minimizzare”, dire che le cose non sono proprio come sembrano. Magari che a tutto c’è rimedio salvo che alla morte e alle tasse! (E in Italia neppure a quelle, in verità)
Insomma, la testa di Mauro Tedeschini è caduta; come quella di San Giovanni. La “Salomè” pare sia stata proprio la dirigenza della banca senese, stanca di leggere sui giornali critiche su critiche; numeri seccantemente negativi che mettono di malumore gli azionisti. E pare che lo zampino ce l’abbia messo anche un nuovo azionista di peso della banca: tale Aleotti, gruppo Menarini. Se non nella cacciata del vecchio direttore, almeno nella scelta del nuovo: Gabriele Canè, pare amico di Lucia Aleotti, con cui sarebbe stato intercettato per vicende legate alla Menarini (un danno al sistema sanitario che ammonterebbe a 860 milioni di euro, come riporta anche Il Fatto Quotidiano), mostrando una benevolenza tutt’altro che da “cane da guardia dell’opinione pubblica”.
Un direttore, quindi, meno “recalcitrante” al volere dell’editore e delle lobby di potere toscane, a cui lo stesso Riffeser Monti è legato a doppio filo, e più “amico” delle persone che contano. Quelle che dovrebbero essere “interessanti” giornalisticamente parlando diventano quelle “papabili” per cercare nuovi slanci alla carriera o denaro sonante per tenere in piedi il gioco delle parti.
Mentre a Rapolano proprio in queste ore a teatro si rivive il dramma di Ilaria Alpi, ci troviamo a difendere il lavoro di un giornalista che non voleva fare altro che il suo mestiere (e quindi dovere) e che proprio per questo è stato licenziato. Un fatto che fa venire la nausea e che dà esattamente la misura del totale tracollo del costume e della moralità nel nostro Paese. Pare di essere tornati nei secoli bui.
Per l’informazione è uno dei momenti più bassi e indecorosi della storia. In concomitanza con l’aumentare degli utenti dell’informazione libera online, si assiste ad un progressivo deterioramento del concetto stesso di giornalismo. Quest’ultimo non è più un mestiere tra i più liberi e bisognosi di indipendenza (al punto da essere inseguito e praticato da giovani di belle speranze e di grandi ideali non ancora infranti); ormai un giornalista può essere paragonato ad un sensale, un “traduttore” del potere dato in pillole ai lettori. Ogni lobby ha il suo personale “portavoce”: un fido inbonitore che metterà in evidenza il bene e saprà nascondere il male con la maestria della sua penna. E proprio come la politica, anche il giornalismo ha perso la sua credibilità in questi anni di amara decadenza.
E chi si lamenta, oggi, di quanto accaduto all’interno de La Nazione? Indovinate un po’? Chi si è indignata per prima? Ma è chiaro! Proprio la politica. Con tanto di interrogazioni in Parlamento. A sollevare il caso l’onorevole Fabio Evangelisti, segretario IdV in Toscana. “La rimozione del direttore de La Nazione Mauro Tedeschini costituisce un grave sintomo delle storture che affliggono il nostro sistema informativo. Da quanto si apprende, infatti, le notizie pubblicate da La Nazione sulle vicende interne al Monte dei Paschi di Siena non sarebbero risultate gradite al gruppo di controllo della banca stessa, e sembra dunque che questa abbia premuto con la proprietà del giornale per ottenere la rimozione del direttore”.
“Un fatto che, se confermato, sarebbe assai grave per una democrazia e che, anziché agganciare il nostro Paese alle grandi realtà dell’Europa democratica, ci relegherebbe a Paese paragonabile all’Ungheria di Orban”, tuona ancora Evangelisti che ricorda la vicenda Canè-Aleotti Menarini e che la stigmatizza così: “Questo fatto sarebbe seguito ad un precedente scontro della proprietà del giornale con la Menarini, che non avrebbe in passato gradito i riflettori della cronaca. In tale occasione il Canè si sarebbe dimostrato, invece, assai sensibile alle pressioni del gruppo Menarini e questo gli darebbe, oggi, titolo per ingraziarsi gruppi imprenditoriali e assicurare flussi pubblicitari in Toscana. La vicenda costituisce, dunque, in grave sintomo delle storture che affliggono il nostro sistema informativo. L’obiettivo primo delle testate giornalistiche in questa chiave distorta e malata, sarebbe, dunque, non quello di fare inchieste approfondite, riscontrate e scomode, ma quello di assicurarsi buone relazioni con i potentati”. E bravo Evangelisti! Che peccato, se si pensa che a Siena, con quel potentato – o buona parte di quello – lui ci è andato a braccetto alle elezioni. Così, semplicemente!
Viva protesta e grande sconcerto sono stati espressi anche dalla Federazione nazionale della stampa e dall’Associazione Stampa toscana che hanno parlato di un direttore “sacrificato dall’editore a seguito di contrasti sulle autonone e libere scelte di informazione a lobby politica e bancaria”.
Intanto le redazioni locali de La Nazione hanno fatto un giorno di sciopero per protestare contro questa scelta infelice di mandare a casa un direttore che neppure aveva fatto ancora in tempo a dare un suo “indirizzo” al giornale (era in carica solo dal giugno 2011). Un gesto di grande dignità da parte di giornalisti che non si sono ancora arresi al ruolo di “lacchè” e che invece, oggi più che mai, sentono il peso della loro professione in barba alla crisi, al lavoro sottopagato, alla spada di Damocle dei licenziamenti e a tutto il resto.
Pretendere che “venga fatta luce sulla vicenda”, come pure chiede la Lega Nord Toscana, è mera illusione. In un Paese in cui i responsabili della strage di Piazza della Loggia avvenuta nel 1974 sono ancora ignoti (e così anche per altre vicende che hanno segnato la nostra storia non tanto recente), come si può sperare che si faccia piena luce su scelte insindacabili di un editore qualsiasi? E’ già tanto che si conoscano i risvolti, che si sia individuata perfettamente la ragione della scelta, che si conosca chi c’è dietro e chi sopra.
La domanda che più tormenta (fermo restando che il perchè appare chiaro), è come opporsi a questa deriva democratica, a questa amoralità diffusa, al silenzio delle coscienze, all’impotenza del singolo contro il pensiero dominante. A questa indifferenza mista ad assuefazione che mette il potere al sicuro.
Domani, sul volto dei membri della “lobby politica e bancaria” che vi passerà accanto per strada non troverete, cari lettori, nessun velo di rossore, nessun segno di dubbio o di pentimento. Sembreranno dirvi, con la loro sicurezza: “E’ così che va il mondo. C’è chi decide e chi subisce. Queste sono le regole del “sistema””.
Tedeschini è solo una vittima – non l’ultima e neppure l’unica – di questo sistema. E, purtroppo, proprio in questo episodio, è la prova lampante che questi “lobbysti” hanno ancora una volta ragione.
Ma possiamo almeno dire “Non prevalebunt!”?
Viva protesta e grande sconcerto sono stati espressi anche dalla Federazione nazionale della stampa e dall’Associazione Stampa toscana che hanno parlato di un direttore “sacrificato dall’editore a seguito di contrasti sulle autonone e libere scelte di informazione a lobby politica e bancaria”.
Intanto le redazioni locali de La Nazione hanno fatto un giorno di sciopero per protestare contro questa scelta infelice di mandare a casa un direttore che neppure aveva fatto ancora in tempo a dare un suo “indirizzo” al giornale (era in carica solo dal giugno 2011). Un gesto di grande dignità da parte di giornalisti che non si sono ancora arresi al ruolo di “lacchè” e che invece, oggi più che mai, sentono il peso della loro professione in barba alla crisi, al lavoro sottopagato, alla spada di Damocle dei licenziamenti e a tutto il resto.
Pretendere che “venga fatta luce sulla vicenda”, come pure chiede la Lega Nord Toscana, è mera illusione. In un Paese in cui i responsabili della strage di Piazza della Loggia avvenuta nel 1974 sono ancora ignoti (e così anche per altre vicende che hanno segnato la nostra storia non tanto recente), come si può sperare che si faccia piena luce su scelte insindacabili di un editore qualsiasi? E’ già tanto che si conoscano i risvolti, che si sia individuata perfettamente la ragione della scelta, che si conosca chi c’è dietro e chi sopra.
La domanda che più tormenta (fermo restando che il perchè appare chiaro), è come opporsi a questa deriva democratica, a questa amoralità diffusa, al silenzio delle coscienze, all’impotenza del singolo contro il pensiero dominante. A questa indifferenza mista ad assuefazione che mette il potere al sicuro.
Domani, sul volto dei membri della “lobby politica e bancaria” che vi passerà accanto per strada non troverete, cari lettori, nessun velo di rossore, nessun segno di dubbio o di pentimento. Sembreranno dirvi, con la loro sicurezza: “E’ così che va il mondo. C’è chi decide e chi subisce. Queste sono le regole del “sistema””.
Tedeschini è solo una vittima – non l’ultima e neppure l’unica – di questo sistema. E, purtroppo, proprio in questo episodio, è la prova lampante che questi “lobbysti” hanno ancora una volta ragione.
Ma possiamo almeno dire “Non prevalebunt!”?