SIENA. Premetto che nutro umana simpatia per il governatore della Puglia Nichi Vendola, e soprattutto per gli altri che gli stavano dietro sul palco il pomeriggio del 24 maggio in piazza Salimbeni per un comizio di Sinistra e Libertà. Ritengo infatti cosa lodevole che questi signori sembrino avere scelto per motivazioni ideali (motivazioni che sono merce sempre più rara in questo Paese) di stare fuori dalla sinistra di potere, rinunciando così ai benefici e ai privilegi personali con cui quest’ultima, soprattutto a Siena, sa ricompensare la propria clientela. E’ per questo motivo che ho rimandato al dopo elezioni alcune osservazioni sul quel comizio.
Le origini della sinistra
Ha detto Vendola, ricordando i meriti della sinistra di una volta, che essa nacque nel 1892 con la fondazione del Partito operario (poi socialista), da cui discesero, negli anni, tutte le organizzazioni della classe lavoratrice: gli altri partiti di sinistra a cominciare dal Pci, le società di mutuo soccorso, il movimento cooperativo e i sindacati. Mi spiace per lui, ma accadde esattamente il contrario. Più o meno verso la metà dell’800, in un periodo in cui non esisteva ancora alcuna forma di previdenza e assistenza pubblica a favore dei lavoratori, nacquero, per gemmazione spontanea e autonoma dal popolo minuto, le società di mutuo soccorso (tra le primissime quelle delle Contrade senesi, che sono fenomeno popolare come pochi altri), nelle quali i lavoratori si auto-tassavano a sostegno delle famiglie che avessero perso ogni sostegno economico per morti, malattie o disoccupazione. Da questa prima esperienza di solidarietà umana tra poveri, derivarono poi le prime forme di cooperativa di consumo aziendale, sempre come patto solidale, spontaneo e autonomo tra lavoratori spinti soprattutto dal fatto che i bottegai negavano loro il credito in occasione degli scioperi. Da quelle cooperative discese ovviamente il movimento cooperativo che conosciamo oggi, ma anche le commissioni e i consigli di fabbrica, che partorirono i sindacati, e infine i partiti di sinistra. Non so se per mera ignoranza o se per mero opportunismo, l’intellettuale Vendola ha invece rovesciato il processo (dall’alto verso il basso invece che dal basso verso l’alto) disconoscendo al popolo il merito di avere generato la sinistra, accreditando una volta di più la visione del partito come motore di tutto il resto, come chiesa costruita dall’alto da cui discende ogni speranza di riscatto per i “credenti”, concetto questo niente affatto di sinistra, ma di destra e comune a tutto il comparto politico italiano senza eccezioni (come nella Chiesa a beneficiarne, in termini di potere e ricchezza, invece del popolo è soprattutto la gerarchia interna e la sua clientela).
L’integrazione nel Veneto e quella nella Puglia
A proposito di integrazione degli immigrati ha poi ridicolizzato il leghismo xenofobo (che sa benissimo ridicolizzarsi da solo), tanto che in un recente viaggio nel Nord-Est ha detto di essere riuscito ad arrivare solo fino a Verona, perché lo stomaco (testuale) gli ha impedito di andare oltre, fino a Treviso per esempio. Come può Vendola avere ignorato che stava parlando della parte più civile del Paese, le cui città sono regolarmente al vertice della qualità della vita, i cui ottimi ospedali e università e le cui attivissime imprese sono letteralmente pieni proprio di meridionali, oltre che di extracomunitari? Questi ultimi hanno in quell’area la più alta concentrazione del Paese e vi hanno trovato regolare occupazione e residenza come in nessun’altra regione (certamente non in Puglia dove l’irregolarità può arrivare a forme – vedi il Foggiano – di abietto schiavismo).
“La Puglia è felicemente multiculturale da millenni”. Felicemente?
Rispondendo poi alla recente battuta di Berlusconi (“l’Italia non sarà mai un paese multiculturale”), ha dichiarato che inviterà il capo del governo a visitare la Puglia, per rendersi conto che la multiculturalità è cosa laggiù già felicemente raggiunta nei secoli: sui ceppi indigeni si sono innestati Greci, Romani, Longobardi, Arabi, Bizantini, Normanni, Svevi, Francesi, Spagnoli e magari anche Piemontesi. Ma come si fa a definire “felice” quella multiculturalità quando neanche uno dei popoli citati è arrivato in Puglia (o in Italia) da semplice turista o in cerca di lavoro, ma tutti indistintamente come invasori portando morte, stupri, distruzione e oppressione alle popolazioni indigene? Difficile credere che Vendola non sappia che in quella multiculturalità imposta con la spada risiedono parte delle cause della odierna “questione meridionale”. Altro che felicità.
Caro Nichi, avresti dovuto dire anche qualcosa di sinistra
Ma la cosa che più mi ha colpito in tutto il lungo monologo di Vendola è stata l’assenza di qualsiasi riferimento a quello che è stato e dovrebbe essere ancora il fine basilare della sinistra, nonché principio fondante della democrazia stessa: il riscatto e l’emancipazione del popolo (del popolo, non della plebe) fino a fare di esso la classe dirigente della comunità, come recita il principio coniato in epoca comunale del populus sibi princeps (il popolo principe di se stesso). Ho solo sentito parlare, ancorché implicitamente, del partito (non del popolo) o, meglio, della sua gerarchia come artefice del bene comune e come strumento principe della gestione della res publica. In sintesi il succo del suo discorso è: “Noi (io?) siamo capaci di governare meglio degli altri, e anche di voi che state ad ascoltarmi”. Concetto questo che è di destra come pochi: la sovranità popolare significa ben altro.
