di Red
SIENA. Almeno dipendenti e correntisti della Cassa di Risparmio di Rimini sanno che c’erano due funzionari della Banca d’Italia tra le Ventisei persone indagate per il “sodalizio criminale alla governance della Carim” come scrive la notifica della Guardia di Finanza. “Un sodalizio criminale composto dai vertici dell’istituto, in carica nel periodo dal 2009 fino al commissariamento disposto dalla Banca d’Italia nel 2010”, si legge, “che, a seguito di elargizione di mutui e di finanziamenti non assistiti da adeguate garanzie, ometteva dolosamente di evidenziare nei bilanci le perdite già maturate da tempo tramite stime e valutazioni palesemente non corrispondenti alla reale situazione del credito”. Tutti gli indagati “hanno partecipato attivamente e sistematicamente al processo di concessione e/o revisione delle linee di credito concesse dalla Banca Carim spa a favore di soggetti o gruppi societari da tempo insolventi”. Viene contestata alterazione e falsificazione dei bilanci per un importo totale che non arriva a 100 milioni. Dilettanti. E vediamo il perchè.
Alessandro Profumo ha mandato in conto perdite, negli ultimi tre anni, 15 miliardi di euro per rettifiche crediti inesigibili. In teoria, se un sodalizio criminale fa un buco bancario da 100 milioni, che si dovrebbe dire di Rocca Salimbeni, che ci sarebbe dovuta essere una cupola mafiosa? Invece, per la nostra magistratura non c’è niente, neanche uno spunto per le indagini: nemmeno un Caltagirone, vicepresidente con un fido di oltre 450 milioni pari se non superiore alle quote possedute nella banca, è degno di una qualche attenzione nonostante il palese conflitto di interessi? Riteniamo che interpellando almeno quelli che si possono incontrare per la strada la migliore risposta sarebbe quella dell’avvocato catanzarese che disse “Fare il banchiere non è il mio mestiere”.
La differenza nella storia tra Rimini e Siena non la fanno gli ispettori: sappiamo già dalle ottime indagini dei procuratori della Repubblica a Siena Nastasi & C. che quelli spediti da Bankitalia al Monte dei Paschi segnalarono quanto di dovere. Ma gli accordi venivano presi sopra le loro teste, è una evidenza dei fatti. Conflitti d’interesse, rapporti insabbiati e comunicazione mediatica sotto controllo hanno permesso tutto quello che è successo. Purtroppo per gli amministratori riminesi la storiaccia è finita con un commissariamento e chi è arrivato da Roma a verificare i fatti non aveva alcun interesse a nascondere gli avvenimenti e a far partire la macchina della Guardia di Finanza. A Siena il potere forte ha messo in campo il finto rinnovamento del Tandem che ha chiuso a doppia mandata i documenti, non dà spiegazioni a nessuno, tantomeno racconta a chi possano aver dato 15 miliardi contro garanzie inesistenti. La tanto aberrata nazionalizzazione di MPS avrebbe fatto emergere tutto e oggi ci ritroveremmo con le telecamere che assediano il palazzone di Via Franci per documentare l’andirivieni di Draghi e Tarantola (attuale presidente della RAI), tanto per citare due nomi che la sanno certamente lunga, visto il ruolo che occupavano all’epoca dei fatti.
A proposito di nazionalizzazione, qualcuno scende in campo a favore di Red: “Il Monte dei Paschi di Siena va nazionalizzato. Lo Stato deve diventare azionista della banca, ripulirla, risanarla e poi collocarla sul mercato”. Parole e musica di Cesare Geronzi, decano dei banchieri italiani, in una intervista a Panorama. Sembra fin troppo ovvio per essere vero… Di Mario Draghi afferma: “un politico, e lo dimostra nel modo in cui parla con Angela Merkel e gestisce i rapporti internazionali. Meno male che sta dove sta. Draghi a Francoforte ha dimostrato di essere un grande banchiere centrale, ma non e’ stato un grande governatore della Banca d’Italia, come dimostra del resto la storia del Monte dei Paschi”.
Già, ed è per questo che a Rimini sono dei dilettanti.
