I nuovi investimenti e la ricerca della fiducia dei risparmiatori
di Marcello Forcellini
MILANO. La crisi finanziaria iniziata nel 2008 ha determinato un cambiamento profondo nell’operatività bancaria, determinando, da un lato, il mutamento della fiducia fra gli intermediari finanziari, i clienti e le giurisdizioni e, dall’altro, l’implementazione di prassi stringenti e costose nell’esercizio dell’attività stessa.
Gli istituti di credito hanno, dunque, ridimensionato progressivamente la loro funzione core di trasformazione dei rischi e delle scadenze per investire maggiormente nelle attività di gestione del risparmio c.d. di wealth management. Infatti pur continuando ad indebitarsi a breve termine, nei confronti delle famiglie risparmiatrici (più oculate ed attente rispetto al passato ad accostare il concetto di rischio a quello di rendimento), hanno progressivamente impiegato una crescente quantità di risorse dai prestiti a lungo termine agli investimenti delle società di gestione. La pressione sui margini è, tuttavia, sufficiente a giustificare tale cambiamento? La predilezione a movimentare i flussi di denaro dall’Europa da parte degli intermediari finanziari è cambiata negli ultimi anni?
A fianco degli aspetti gestionali interni alle banche, che si intersecano con la richiesta del cliente, si deve altresì considerare il mutamento delle “regole del gioco” a livello internazionale degli ultimi anni. Infatti, i protocolli sullo scambio automatico delle informazioni proposti inizialmente dagli USA (i.e. Intergovernamental Agreement – FATCA), poi dal Global Forum OCSE (i.e. CRS e CAA) e infine dall’Unione Europea (i.e. DAC2), hanno trasformato non solo alcune procedure operative interne agli intermediari finanziari (e.g. procedure identificative del cliente, due diligence), ma hanno cambiato le modalità collaborative in ambito fiscale e finanziario in capo alle Autorità competenti delle varie giurisdizioni. Gli Stati hanno, tuttavia, fornito preventivamente le risorse necessaire alle Autorità competenti per una effettiva implementazione dei nuovi standard? Lo shifting delle funzioni di vigilanza dallo Stato agli intermediari finanziari ne rappresenta una indicazione?
A tal proposito, sembra che alcuni gruppi bancari, dopo aver trasferito le proprie attività nei paesi con bassi costi di produzione (prevalentemente nell’Est-Europa) tendano a trasferire le risorse – e dunque gli investimenti – nei mercati emergenti delle regioni asiatiche. Sembra dunque verosimile credere che i gruppi bancari abbiano avviato nuovamente i processi di diversificazione territoriale – attraverso sussidiarie, filiali e uffici di rappresentanza – che dovettero arrestare durante la crisi finanziaria del 2008. Tuttavia, si sarebbero altresì aggiunte le banche di piccole-medie dimensioni a fianco dei grandi gruppi bancari, probabilmente con lo scopo di individuare nicchie di business profittevoli e innovative (per esempio il trend relativo agli investimenti nel settore della Finanza Islamica o dei crediti fiscali strutturati). Lo stesso “level playing field” sta, così, determinando una riduzione delle barriere all’entrata degli intermediari finanziari esteri nei mercati locali? Oppure, le banche tendono a dirigersi semplicemente nei mercati più efficienti e dinamici?
Le normative internazionali stanno cambiando e conseguentemente i mercati finanziari si stanno aggiustando, riflettendo le nuove informazioni e le nuove “regole del gioco”. Tuttavia, non risulta chiaro se i costi di recepimento delle nuove direttive saranno assorbiti dagli intermediari stessi oppure saranno trasferiti ai clienti con il conseguente deterioramento del loro grado di fiducia nel mercato, con una conseguente inibizione alla agognata ripresa economica. Si può pensare che i costi che le procedure di regolarizzazione fiscale, non per ultimo la voluntary disclosure, saranno un costo implicito assorbito dal nuovo sviluppo?
In conclusione, sembra difficile valutare ex-ante l’impatto delle ultime riforme in materia di collaborazione fiscale internazionale, tuttavia, si riscontrano a livello operativo delle difficoltà che non facilitano né l’ordinario funzionamento delle attività core né tantomeno l’hedging del rischio operativo sia a livello bancario sia a livello finanziario.
(In partnershipcon www.tribunapoliticaweb.it)