"La Morte Nera nostrana colpisce lavoratori e dirigenti del mondo bancario e finanziario quando incrociano poteri invisibili e drammaticamente forti, spietati e impunibili"
SIENA. È tristemente noto come in Italia le morti bianche siano una piaga che nessun governo, dal dopoguerra ad oggi, ha mai affrontato con la necessaria determinazione. Per occuparsi di lavoro si deve ovviamente sapere in cosa consiste, ma la stragrande maggioranza dei nostri politici non ha mai lavorato se non in una confortevole struttura pubblica o sindacale. Eppure “morire di lavoro” è forse la vergogna più profonda per un Paese che si vuole libero e civile. Oltre 1200 persone all’anno (quasi 4 al giorno, 6 all’ora) muoiono nella nostra sanguinosa Penisola per infortunio sul luogo di lavoro. Leggi in abbondanza, ma nessuno controlla.
In questa occasione vogliamo parlare di un tipo specifico di morti sul lavoro: le morti nere. Anche in questo caso si tratta di decessi sul lavoro o a diretta correlazione con esso, ma la causa, sia ben chiaro, non è più la fatalità ma la precisa volontà di qualcuno.
Lungi dal suscitare il fascino di una saga di fantascienza, la Morte Nera nostrana colpisce lavoratori e dirigenti del mondo bancario e finanziario quando incrociano poteri invisibili e drammaticamente forti, spietati e impunibili.
Giorgio Ambrosoli, Michele Sindona, Teresa Graziella Corrocher, Roberto Calvi, David Rossi.
Solo per il primo la morte fu innegabilmente un omicidio, in quanto cadde sotto quattro colpi di pistola il giorno 11 luglio 1979. Per gli altri, le cronache hanno parlato a lungo o parlano tutt’ora di suicidio.
Quale è l’ombra nera su questi suicidi?
Giorgio Ambrosoli pagò la propria onestà e rettitudine nella liquidazione della Banca Privata Italiana. Ma questa Banca, fondata da Michele Sindona, conteneva qualcosa che non avrebbe mai dovuto uscire alla luce del sole. Ambrosoli fu il primo a essere folgorato quando ebbe a toccare i poteri forti e inestricabilmente connessi di mafia, Stato, Logge Massoniche deviate e Vaticano (tra IOR e Opus Dei).
Per la propria rettitudine Ambrosoli fu ucciso da un sicario collegato al clan Sindona con la benedizione dello Stato (ricordiamo le terrificanti parole di un’intervista a Giulio Andreotti, secondo il quale Ambrosoli “se l’era cercata”, anche se nella miglior tradizione italica ha poi affermato “sono stato frainteso”).
Michele Sindona fu seppellito insieme ai suoi segreti da un caffè “zuccherato” al cianuro di potassio, gentilmente offertogli nel carcere di Voghera.
Teresa Graziella Corrocher, segretaria particolare di Roberto Calvi si “suicidò” lanciandosi nel vuoto dal quarto piano del palazzo del Banco Ambrosiano, nel 1982, solo il giorno prima del “suicidio” del suo responsabile.
Roberto Calvi si “suicidò” impiccandosi con un cappuccio sulla testa e le tasche piene di mattoni sotto il lugubre ponte Black Friars (ponte più appropriato non si poteva scegliere) a Londra nel 1982.
David Rossi, nel marzo del 2013, si “suicidò” dopo che, alla luce delle ultime perizie (19 Maggio), qualcuno ebbe a picchiarlo con efferata violenza, dopo averlo tenuto sospeso per i polsi all’esterno della finestra del suo ufficio.
Sia ben chiaro: le figure sopra ricordate non potevano essere più diverse dal punto di vista etico, professionale, e psicologico. C’è l’Uomo Giusto (Ambrosoli), l’Esecutore spietato (Sindona), L’Innocente (Corrocher) Il Debole Colpevole (Calvi). In attesa che la Storia trovi la qualifica più appropriata per David Rossi, è necessario chiedersi cosa ricorra in questi eventi.
Qual è la terribile linea nera che unisce questi “suicidi”? Cosa porta in Italia un bancario (o banchiere) al “suicidio”? C’è uno standard che si ripropone? Lungi dal volerci sostituire a decenni di inchieste, ricordiamo alcuni fatti essenziali.
Nei dibattimenti processuali che portarono alla condanna di Sindona e dei suoi sicari, oltre all’onnipresente Giulio Andreotti, le entità più evocate furono lo IOR, l’Opus Dei, La Loggia Massonica P2, la criminalità organizzata (il clan Gambino, Giuliano, Calò) e…Banca Antonveneta. Cosa mai c’entrava quest’ultima?
Nel 2002 vi furono le dichiarazioni di collaboratori di giustizia chiave nella vicenda Calvi: Luigi Giuliano (ex capo dell’omonimo clan camorristico di Forcella) affermò di essere stato incaricato da Pippo Calò e Gaetano Badalamenti di compiere una rapina alla Banca Antonveneta di Padova nel 1975, operazione di copertura per recuperare dei documenti compromettenti che avrebbero salvato la vita al banchiere. La rapina fallì per l’intervento immediato della polizia e ciò probabilmente segnò la sorte del banchiere milanese.
Suicidio? La corte Suprema del Regno Unito annullò a Londra la sentenza di suicidio, già sei mesi dopo l’emissione, e il giudice che si era reso responsabile di tale sentenza venne incriminato per irregolarità. Dal 2003 sono state avviate nuove indagini.
Nel 2007 Banca Santander, Istituto storicamente legato all’Opus Dei, vende (senza ancora averla pagata) a carissimo prezzo Banca Antonveneta alla Banca Monte dei Paschi di Siena. In questa occasione viene richiesto, e accettato, di non fare alcuna due diligence formale né una approfondita analisi sullo stato patrimoniale dell’Istituto, malgrado fosse stata coinvolta a questo scopo la Merrill Lynch…o forse proprio per questo. In virtù dell’enorme e insperata quantità di cash, Emilio Botin, CEO di Santander e vicinissimo allo IOR di Gotti Tedeschi, consegue un risultato insperato, superando brillantemente la tempesta dei mutui subprime in cui il gruppo bancario spagnolo pareva condannato a soccombere. Con circa 9 miliardi di liquidità provenienti da Piazza Salimbeni (il conto per l’acquisizione di Antonveneta risulterà alle fine ben più salato), Emilio Botin non solo supera ogni avversità finanziaria, ma in più consegue nel 2008 il titolo di “miglior Banchiere dell’anno” da parte della rivista Euromoney. Un jackpot totale tutto a favore di Santander. Lato Monte dei Paschi, non risultano tracce formali di controfferte o negoziazioni. Tanto è stato chiesto, tanto è uscito dalle casse della banca senese.
Qualcuno aveva molta fretta.
Ad oggi, il conto dell’operazione Antonveneta per azionisti, sottoscrittori di subordinati e contribuenti dello Stato (ossia tutti noi), ha nettamente superato i 30 miliardi di euro. Una colossale distruzione di valore, sicuramente la manovra bancaria italiana (ed europea) più sciagurata dal dopoguerra ad oggi.
Durante i primi dibattimenti presso la procura di Siena (fonte Sole 24 ore del 15 febbraio 2013) la linea difensiva di Giuseppe Mussari si fonda sul fatto di “essere stato presidente del Monte senza deleghe operative”. A quanto asserisce, non è stato lui quindi a prendere la decisione di acquisire Antonveneta in modalità così inconsuete per un affare del genere, anche se, sempre a sue parole, “lavorava per una fusione non per l’acquisto” …ma allora le deleghe le aveva?
Chi ha allora effettivamente voluto che quella Banca tornasse italiana ad ogni costo, senza analizzare in dettaglio giacenze, esposizioni e movimenti rendendo quindi noto ed ufficiale cosa contenesse Antonveneta? Il 6 maggio us, Giuseppe Mussari e Antonio Vigni sono stati prosciolti da qualsiasi accusa, ma questa fondamentale domanda rimane senza alcuna risposta.
Anche nel maggio 1980, Roberto Calvi affermò: “Il Banco Ambrosiano non è mio, io sono soltanto il servitore di qualcuno“. Mentre la prima parte della frase era ovvia la seconda voleva inviare un avvertimento. Giuseppe Mussari, nella sua linea difensiva, ha forse voluto fare lo stesso?
A seguito delle ultime perizie sui polsi e sugli organi interni di David Rossi, qualcuno sembra sia stato particolarmente frettoloso nel classificare la morte di David Rossi come suicidio. Chi si è occupato a suo tempo delle indagini, dovrebbe risponderne, come successe per Calvi nel Regno Unito.
Ma Londra, come noto, è lontanissima da Siena. IOR e Logge Massoniche, invece no.
Azione continuerà a chiedere giustizia per David Rossi e piena luce sulle cause che portarono alla sua morte.