Una lezione dalla storia che non abbiamo imparato
di Mauro Aurigi
SIENA. (I puntata) Privatizzazione (*) è il termine con cui si definisce il passaggio di beni e servizi pubblici dalla gestione pubblica ‒ ossia dal principio di servizio pubblico reso nell’interesse della collettività ‒ al principio del maggior utile con la minima spesa tipica di ogni “padrone” privato. E’ una drammatica lezione, questa, che la storia ancora ci impartisce ma che non abbiamo saputo o voluto imparare. Eppure ancora oggi può capitare di sentire dire: “Non sai dove andare se non sai da dove vieni”, che è la formula un po’ più grossolana della ciceroniana locuzione di oltre duemila anni fa: “Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis” (La storia in verità è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità).
La cosa avrebbe dovuto avere un particolare interesse per noi Senesi visto che Siena, a differenza delle altre città del centro-sud d’Italia, aveva raggiunto la vetta nella classifica nazionale delle città a più alto tenore di quella qualità della vita che è tipica soprattutto delle città del nord-Italia. E ciò soprattutto grazie all’eccezionale presenza assolutamente dominante di entità pubbliche quali, per tacere di altro, la Banca semi-millenaria (la più antica del mondo nonché fino ad ieri la quarta per dimensioni in Italia e la prima per solidità in Europa), lo Spedale millenario (il più antico del mondo e forse il più grande della Toscana nella città più piccola della regione), l’Università quasi millenaria (anche 25mila studenti in una città che supera di poco i 50mila abitanti), o l’Arte (da cui il turismo), anch’essa soprattutto frutto, nella storia, di investimenti pubblici piuttosto che del mecenatismo privato.
PRIVATIZZAZIONE DELLE STRADE
Ma non c’è stato niente da fare. Abbiamo dato mano alla privatizzazione della gestione delle strade ed è venuto giù un ponte a Genova provocando 43 vittime. E ciò nonostante che più di 700 anni fa i borghesi (ossia gli abitanti del borgo) del centro-nord italiano avessero con le armi tolto alla nobiltà rurale, asserragliata nei suoi castelli tutto intorno alle mura cittadine, il diritto di taglieggiare i passanti che attraversavano i loro territori, con ciò soffocando, dopo l’anno Mille, la rinascente aspirazione della borghesia cittadina alla facilità degli scambi commerciali e culturali. La cosa è stata celebrata soprattutto dalla Repubblica di Siena che volle le 4 pareti della sala più importante del Palazzo Pubblico tutte affrescate con quelle vittorie (solo una parete affrescata è giunta fino a noi: quella con l’immagine equestre del Guido Riccio da Fogliano). E addirittura nella sala del Buon governo fu fatta affrescare ad Ambrogio Lorenzetti la leggiadra figura alata della Sicurezza che sorvola la campagna tenendo in una mano un predone impiccato e con l’altra questo cartiglio “Senza paura ognuom franco camini e lavorando semini ciascuno mentre che tal comuno manterra questa donna in signoria chel a levata a rei ogni balia”. E’ da allora che al termine “via” fu aggiunto l’aggettivo “pubblica” (per la verità anche al termine “acqua”).
Va da sé che il Comune non si limitò a chiacchierarne: un corpo di “scorridori” armati a cavallo vigilava su quella libertà. (1 – continua)
(*) Il termine ha la sua eloquente radice in “privare”.