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Aurigi: “Privatizzazione delle banche pubbliche”

Altro disastro economico di dimensioni mai viste in questo Paese

di Mauro Aurigi

SIENA. (2.a puntata – vedi qui la precedente) Non contenti, si è realizzata anche la privatizzazione delle banche pubbliche previa trasformazione in SpA (1992-1995), sostenendo che, essendo il sistema bancario italiano soprattutto in mani pubbliche, questo fosse diventato una “foresta pietrificata” (sic! Amato), nonché “una palla al piede dell’economia nazionale” (ri-sic! la Confindustria). Il muro che fu eretto a difesa di simili concetti fu mastodontico, smisurato. Cito quelli che al volo mi ricordo: Amato, D’Alema, Dini, Berlusconi, Urbani, Tremonti, Bassanini, Ciampi, Dini, Visco, Berlinguer, Brunetta, Clarich, Cappugi, Spaventa, Imbriani, l‘Arcivescovo di Siena, il sindaco Piccini (inizialmente strenuo difensore della pubblicità del Monte), la Lega Nord al gran completo (*) e tutta la stampa locale e nazionale senza eccezioni. Non posso pensare che tutta questa gente fosse in buona fede, ossia che non sapesse quello che poteva dedurre anche un bambino: in Italia le banche erano soprattutto pubbliche perché quelle private erano soprattutto fallite (**).

LO SCOZZESE ADAM SMITH E IL FIORENTINO PIERO BARUCCI

E perché le banche pubbliche erano soprattutto fallite? Elementare Watson! Ce lo spiega bene lo scozzese Adam Smith, fondatore della moderna scienza economica, nonché convinto sostenitore della libertà di mercato, quindi oggi quasi un radicale di destra, ma allora un rivoluzionario, visto che i liberali lottavano contro l’oscurantismo e l’assolutismo regio. Ecco cosa scrive il nostro Smith nel 1754, nella sua monumentale opera La ricchezza delle Nazioni”, contro le public companies, ossia contro le società per azioni che stavano in quegli anni vedendo la luce in Inghilterra:

Queste società sono dirette senza controllo da soggetti che non impiegano il proprio denaro nell’impresa e che non possono quindi impegnarsi con la passione e l’accortezza che è naturale in chi rischia in proprio: esse vivono pertanto nella confusione e nella trascuratezza e sono destinate a poco onorevole fine

Che dire? Due secoli e mezzo fa Smith aveva previsto la fine del Monte dei Paschi e perché. Il concetto riemerse dalle pagine de Il Sole 24 Ore nel 1983, quando Piero Barucci, da poco nominato da Andreotti alla presidenza del Monte, alla domanda del giornalista: “Che effetto fa passare da una grande Università come quella di Firenze ad una grande banca come quella di Siena?”, l’intervistato rispose, forse senza essere completamente consapevole che lui, esimio cattedratico di economia, stava confermando l’enunciazione dello Smith di cui sopra: “Un effetto strano. Dieci minuti dopo che si è presa una delibera nella Deputazione Amministratrice (così si chiamava il CdA prima della privatizzazione, nda), se ne parla al bar del Nannini: ti senti sul collo il fiato della gente”.

1995, C’ERA IL PALIO, MA GROTTANELLI DE’ SANTI NON EBBE PIETA’

Per cui cosa si poteva fare affinché fallissero anche le banche pubbliche? Elementare Watson, si privatizzano trasformandole in SpA e il gioco è fatto! Così alla prima prossima crisi globale, che non possiamo dire quando arriverà né quanto sarà grave, ma una cosa è certa: di sicuro arriverà, e allora falliranno ancora una volta tutte le banche privatizzate e l’economia nazionale non avrà più il paracadute di una volta, quello delle banche pubbliche. Infatti questo è successo con l’arrivo nel 2008 della crisi detta dei subprime: tutte le banche private, ossia quelle già pubbliche ma trasformate in SpA, sono di fatto fallite, e per il momento sono “in sonno” grazie alla “generosità” della Bce di Draghi. Ma il risultato è che ad oggi non c’è una sola banca in Italia in grado di erogare correttamente e correntemente il credito, cosa che invece continuavano a fare allora le banche pubbliche del passato che sopravvivevano alle crisi economiche proprio perché pubbliche, sottoposte com’erano, almeno quelle dell’Italia del Centro-Nord, al controllo ufficiale e/o ufficioso dei rispettivi territori (il fiato sul collo di Barucci) e quindi sempre molto sospettose e restie nei confronti della grande speculazione finanziaria, quella dei grandi guadagni, ma anche dei grandi rischi.

Un ultimo particolare. Il 14 agosto (dice niente ai Senesi questo giorno?) del 1995 un disponibile presidente del Monte, Grottanelli de’ Santi, deliberò ufficialmente la trasformazione della Banca in SpA. In una sessantina di cittadini senesi, previo conferimento di un milione di lire a testa, avanzammo ricorso al TAR di Firenze, con il quale quattro nostri legali contestavano l’operazione sostenendo, tra le altre cose, che il Monte appartenesse all’erario comunale e non a quello statale. Bene il TAR, nonostante le ripetute sollecitazioni rispose solo 11 anni dopo (!), chiedendoci se eravamo ancora interessati a una sentenza. Ovviamente non rispondemmo neanche (***).


(*) Un giorno il quotidiano La Padania uscì con ben due pagine intere piene d’ironia contro la resistenza senese alla privatizzazione del Monte, sotto un gigantesco titolo: “Monte dei Paschi di Siena, banca medievale italiana”. Un classico caso di pagliuzza scorta negli occhi degli altri senza rendersi conto del trave negli occhi propri. Si trattò evidentemente di ipocrisia o mala fede, visto che il giuramento di Pontida era parecchio più medievale del Monte, il quale, tra l’altro, a differenza del giuramento di Pontida, era ancora vivo e vegeto. Particolare esilarante: i leghisti senesoni partecipavano alla annuale celebrazione della Battaglia di Legnano nonostante che anche Siena, all’epoca, vi avesse partecipato con un suo corpo di spedizione, ma al fianco del Barbarossa non dell’acerrimo nemico dell’Imperatore, ossia del papa Alessandro III, che tra l’altro, ed è il colmo, era il senese Rolando Bandinelli, fondatore della città di Alessandria contro il Barbarossa, ed anche della cattedrale Notre Dame a Parigi). Spero che da parte dei leghisti senesi si sia trattato della crassa ignoranza che caratterizza quel movimento, perché altrimenti si tratterebbe di ipocrisia politica e/o di mala fede.

(**) Nella prima grande crisi economica, tra il 1880 e il 1890 sparirono tutte le grandi banche private: Banca Romana di sconto, Banca Generale, Società di Credito Generale, e uno sciame di banche minori. Ricostituite, con capitale soprattutto tedesco visto che le risorse italiane erano state distrutte in quei fallimenti, rifallirono nuovamente tutte nella seconda grande crisi intorno agli anni ’30 del Novecento (Banca Commerciale italiana, Credito italiano, Banco di Roma, Banca Toscana ecc.). Ed hanno poi continuato a sparire dal secondo dopoguerra ad oggi nella stessa misura, anche se in maniera più diluita nel tempo grazie a quel patto internazionale sul controllo dell’economia che doveva scongiurare le grandi crisi e che va sotto il nome di Bretton Woods (1944): Banco Ambrosiano, Banca Privata Italiana, Istituto Bancario Italiano, Banca d’America e d’Italia, Banca Nazionale dell’Agricoltura, Credito Lombardo, Banca Agricola Mantovana, Banca Cattolica, Banca Antonveneta, Banca 121, Credito commerciale. Senza contare le centinaia di banche minori in crisi nel frattempo assorbite, viste le condizioni in cui versavano quelle private, esclusivamente dalle banche pubbliche. Ovviamente, mentre le banche S.p.A. sparivano, quelle pubbliche come il Monte ingrassavano.

(***) Da rilevare che nel 1994 il sindaco Piccini, allora convinto sostenitore della intangibilità del Monte, aveva rimosso tutti i 4 deputati della Deputazione Amministratrice di nomina comunale, sostituendoli con altri 4 tutti di più sicura fede. Bene, il Monte ricorse al TAR di Firenze e il TAR 20 giorni dopo (!) già aveva sentenziato l’annullamento della delibera e il reintegro dei primi 4 che Piccini aveva giubilato. La mia già bassa fiducia nell’indipendenza delle magistrature nazionali schiantò definitivamente al suolo.

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