I due schieramenti che rappresentano i vecchi partiti (Pd e PdL) sono in lizza...
di Mauro Aurigi
SIENA. E’ un fatto ovvio e indiscutibile che il PCI-DS-PDS-PD sia il massimo responsabile della spaventosa crisi del Monte, per tacer d’altro. E che tutti gli altri partiti abbiano avuto nella vicenda un ruolo ancillare, ma non per questo meno vergognoso, avendone approvato tutte le scelte praticamente all’unanimità.
Ma io non riesco a rinunciare, anche per la mia personale storia, a fare una riflessione. Se la situazione fosse stata rovesciata, ossia se il partito egemone a Siena in questi ultimi 65 anni fosse stata la DC-FI-PDL, invece del PCI-DS-PDS-PD, non posso non pensare che le cose sarebbero andate anche peggio. Non c’è bisogno infatti di ricordare i grandi scandali economici del Paese del recente passato (Federconsorzi, Banco Ambrosiano, Banca Privata Italiana ecc.) in cui la DC o suoi esponenti furono coinvolti. Ci sono esempi molto più vicini a noi, sia nel tempo che nella spazio. Penso alla Cassa di Risparmio di Prato, messa in ginocchio dal suo presidente-padrone , l’andreottiano Bambagioni. La cosa ci riguarda direttamente perché, contrariamente a quanto avveniva in passato, quando il Monte resisteva con orgoglio addirittura sprezzante alle pressioni della politica nazionale (*), in questa occasione le pressioni governative furono accolte dal Monte senza riserve (né da destra, né da sinistra): per evitare al Bambagioni il carcere, il Monte acquistò nel 1995 per 400 miliardi di lire la Cassa facendosi carico di tutti i suoi guai e salvandola dal fallimento (**). E penso al Credito Cooperativo fiorentino nel 2012 portato al fallimento del presidente-padrone Denis Verdini, braccio destro o sinistro di Berlusconi.
E ciò porta ad un’altra considerazione. Le due liste elettorali che, secondo la stampa, si dovranno contendere il ballottaggio sono quella sinistrorsa di Valentini “Siena Cambia” (caro Valentini, non te ne sei accorto, ma Siena è già cambiata, irreversibilmente) e quella destrorsa di Neri “Siena rinasce”. Sorvoliamo pure sul fatto i due candidati-sindaco (soprattutto il Valentini che è sempre stato dipendente del Monte, sindacalista e esponente del PCI-PDS-DS-PD) abbiano ambedue serenamente taciuto, se non approvato, mentre in questi ultimi 15 anni il sacco di Siena si compiva e che ora sparino a zero su quel sacco senza arrossire. Ma non possiamo far finta di non vedere che grossomodo nella prima ci siano tutti i rottamatori del Monte e nella seconda, idealmente, ci siano i rottamatori della pratese banca andreottiana e di quella fiorentina verdiniana. Cosa voglio dire? Si pensava che il Monte peggio di come sta andando ora non potesse andare. Ci sbagliavamo. Con simili presupposti, chiunque di questi due schieramenti dovesse vincere, le cose per il Monte e Siena non potranno che peggiorare. Potremmo superare il punto del non ritorno. Anche perché i due schieramenti avevano fino a ieri collaborato attivamente alle disgrazie della Banca e della Città. Non vedo perché dopo le elezioni non dovrebbero fare altrettanto.
Vedremo dai risultati se i Senesi sono ancora cittadini e non sudditi, popolo e non plebe.
(*) Nel corso della tremenda crisi economica di fine ‘800, durante la quale fallì tutto il sistema bancario italiano privato, il Monte seppe dire di no alle pressioni governative per il salvataggio della Banca Romana di Sconto, massima responsabile di quella crisi. Tant’è che un alto dirigente del Monte disse al ministro Grimaldi: “Qui al governo si usa sempre dire vade retro Satana” (Giuliano Catoni, Monte dei Paschi di Siena, 1986). Altri tempi, altri Senesi!
(**) La Cariprato, pagata 400 mld di lire, fu poi venduta, completamente risanata, nel 2002 alla Banca Popolare di Vicenza per 800 mld. La forte plusvalenza servì, com’era diventata ormai normale usanza, a imbellettare un bilancio del Mps altrimenti deficitario. Se si pensa che nello stesso periodo fu acquistata la fallimentare Banca 121 per 2500 mld (e almeno altrettanto costò poi quell’acquisto per danni collaterali) si capisce che la vendita della Cariprato fu un pessimo affare. Come se non bastasse si aprì la Toscana, in un’area sensibilissima come quella pratese, a un concorrente temibile come la BPV. Per giunta a capo della BPV c’era Divo Gronchi, mentre a capo della Cariprato fu messo Carlo Zini, ambedue ex direttori generali del Monte e ambedue con il dente avvelenatissimo contro quest’ultimo.
Così si sono fatti li affari al Monte dopo la privatizzazione.