"Quanto dobbiamo preoccuparci?"
di Mauro Aurigi
SIENA. Sono nato nel 1939 da una famiglia per metà operaia e metà mezzadrile: tutti antifascisti perseguitati. Mio nonno Savino era un anarchico della prima ora, ossia da ben prima che il Partito socialista vedesse la luce nel 1892 a Genova, ma fu tra i fondatori della federazione senese di quel partito. Ciononostante continuò a portare il fiocco nero degli anarchici per tutta la sua vita. Faccio questa premessa per non essere frainteso per le considerazioni che seguono.
Chi scrive non si emoziona troppo né si allarma per le bravate, quasi tutte notturne (escono dalle fogne di notte, proprio come i sorci), di una fascia insignificante di cittadini, noti soprattutto per la testa rapata e per la ridottissima capacità cranica. Sono autentici scarti di un’evoluzione intellettiva che in 200mila anni ha selezionato, differenziandola da tutte le altre, quella specie “homo sapiens sapiens” in cui invece (quasi) tutti ci riconosciamo.
Però preoccupa parecchio di più quel fascismo che invece, subdolamente se non addirittura inconsapevolmente, striscia in strati sempre più ampi e rappresentativi della popolazione, anche e soprattutto in quelli che più degli altri si sgolano – magari in buona fede ‒ a ripetere di essere anti-fascisti. Bisogna prima di tutto ricordarsi che anche il fascismo di Mussolini alle origini non rappresentò un serio pericolo (apparve addirittura ridicolo ai ben pensanti di allora). Ma ciò durò fino a quando la monarchia e l’aristocrazia, i grandi imprenditori e i grandi agrari, i vertici dell’esercito e della Chiesa, non decisero, viste le notizie che arrivavano dalla Russia bolscevica, di aderire e finanziare il partito fascista per meglio poterlo, nel proprio interesse, controllare.
Tanto per capirsi – a proposito di quella strisciante metamorfosi ‒ basterebbe pensare come da tempo abbastanza recente il titolo di “segretario”, in Italia universalmente riservato in passato ai capi dei partiti, sia stato definitivamente e in tutta tranquillità sostituito dal termine inglese “LEADER”, che è, si badi bene, la traduzione letterale dell’italiano “DUCE” e del tedesco “FÜHRER”! (Ne parlo anche qui)
E si pensi anche, sempre a proposito del fascismo subdolamente strisciante in larga parte dell’attuale società, con quanta frequenza oggi in Italia si usi la locuzione “classe dirigente”, intendendo evidentemente riferirsi all’esistenza di una “casta” (come spesso viene ironicamente e giustamente anche definita) di cittadini privilegiati, che detengono per legge tutto il potere. Ma può un regime sedicente democratico tollerare l’esistenza al proprio interno di una classe dominante del tutto autoreferenziale, di cittadini privilegiati, che hanno, tutti quanti insieme, quel potere che invece la Costituzione affida solamente al popolo sovrano? Certo che può, ma solo a una condizione: che smetta di dichiararsi democratico! Nella nostra ottima Costituzione, tanto per chiarire il concetto, non appaiono mai neanche una solo volta i termini “classe” e “casta”, e, per essere più chiari, neanche il termine “LEADER” di cui sopra.
Insomma, visto come stanno da noi le cose (Salvini, Meloni ecc.) e anche altrove (Le Pen, Trump, Orban, Duda, Bolsonaro ecc.) come si può restare sereni? Ma ci siamo già dimenticati, proprio noi Italiani, della terribile esperienza del tragico “Ventennio”, culminata in una tremenda carneficina mondiale di oltre 70 milioni di esseri umani? E tutto partì dall’Italia. Come ce lo possiamo scordare?