Nuovi soci in arrivo e in trattativa soldi, non competenze
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di Red
SIENA. Borsa Italiana dà fiato alle voci (già riferite) di un interessamento di un fondo sovrano mediorientale a entrare nel capitale di MPS, acquisendo azioni dalla Fondazione. Infatti, si riferisce che “tra i potenziali pretendenti interessati alla cessione del 15,5% delle azioni ci potrebbe essere perfino il fondo sovrano del Bahrein (Mumtalakat Holding)”. Starebbe valutando la possibilità di partecipare al collocamento, mettendo sul tavolo una somma fino a 300 milioni. Ove la proposta prendesse consistenza, verrà presentata direttamente a Mediobanca, che è advisor della Fondazione (oltre che creditore interessato) assieme a Rothschild”.
Il fondo Mumtalakat è “un istituto finanziario dedicato alla creazione di valore per conto del Regno del Bahrein. Costituita nel 2006, detiene in portafoglio partecipazioni di maggioranza o minoranza in 35 imprese commerciali, che rappresentano un valore di 9,1 miliardi di euro. La sua strategia di investimento è quello di creare un portafoglio ben diversificato e bilanciato e globale nelle diverse asset class e aree geografiche per generare crescita a lungo termine finanziario” delle holding non petrolifere del governo del Bahrain. Punta molto ai mercati europei. In passato, l’investimento principale è stato l’acquisto del 30% della scuderia McLaren. Se confermata, l’operazione con MPS rappresenterebbe il primo blitz nel mondo della finanza italiana.
I due fratelli Aleotti ieri, come anticipato, erano a Siena e si sono incontrati con il presidente della Fondazione Gabriello Mancini, che ha loro consegnato mestamente il 4% delle azioni MPS (alla modica spesa di 150 milioni di euro), che Palazzo Sansedoni ha dovuto vendere per pagare i debiti contratti. Significativa la dichiarazione ai microfoni di Tg Regione della signora Lucia Aleotti (candidata alla vicepresidenza della banca): “Abbiamo voluto dare un segno e dare il nostro contributo, affinché questa banca potesse rimanere quanto più possibile italiana e toscana”. Che sincera ammissione della profonda caduta della banca realizzata dal management! Il Monte, senza i 150 milioni dei fiorentini proprietari della Menarini, sarebbe diventato preda dei raiders stranieri con la Fondazione rasa al suolo senza più capitale nè azioni bancarie. Quello stesso Monte che fino a pochi anni fa una azienda come quella degli Aleotti, da 3 miliardi di fatturato con 13.000 dipendenti, se la poteva acquistare in contanti: un disastro economico di cui nessuno vuole prendersene la responsabilità nè in città nè a Roma.
E così ha chiosato il Mancini, forse convinto di parlare a microfoni spenti: “L’accordo rappresenta un messaggio rassicurante per il territorio”. Sono passati appena 365 giorni dall’ultima volta che il rag. Mancini raccontava con soddisfazione che ci sarebbe stato un utile dal Monte per le erogazioni e, nonostante la crisi economica, il boccone Antonveneta era stato digerito e tutto andava bene e ancora ha voglia di lanciare messaggi rassicuranti.
Ma in che mani sono finiti i senesi? Già abbiamo un presidente della banca in scadenza che ha ammesso che “fare il banchiere non era il suo mestiere”. Per non essere da meno, Lucia Aleotti ha detto al microfono Rai: “Noi abbiamo sempre svolto la nostra attività nel settore farmaceutico, che rimane il nostro core business”. Messaggio ricevuto, cara dottoressa: è bene cominci a studiare un po’ di economia bancaria, prima cheritrovarsi a cercare col lanternino, novella Diogene, dove sono finiti i suoi 150 milioni. Qui, se nessuno si compra le azioni che la Fondazione non ha ancora allocato, mancano perfino i soldi per pagare i mutui accesi per i macchinari acquistati dall’Ospedale.