di Alessandra Siotto
SIENA. “Da noi il verde è il colore della speranza, mentre in Birmania il verde è il colore delle uniformi dei militari, che richiama la brutalità del regime; in Birmania il colore della speranza è lo zafferano, tipico delle vesti dei monaci”. Con queste parole Carmen Lasorella ha spiegato il titolo del suo libro "Verde e Zafferano. A voce alta per la Birmania ", presentato alla Biblioteca Comunale degli Intronati nell'ambito dell’iniziativa "LuneDiLibri".
L’opera della giornalista della Rai è un intenso reportage sulla Birmania, paese schiacciato da uno dei regimi totalitari più feroci dei nostri tempi. Le vicende di questo popolo sono apparse sulle prime pagine di tutti i media internazionali lo scorso autunno, quando i monaci e migliaia di persone sono scese nelle strade per protestare contro la giunta militare di Rangoon. La Birmania, dove si vive con un dollaro al giorno, è stata recentemente sconvolta dal passaggio del ciclone Nargis, che ha aggravato le condizioni di vita, già precarie, della popolazione. Nell’incontro di oggi Lasorella, come nel suo libro, ha saputo analizzare con lucida partecipazione le vicende di questo paese, regalando al pubblico uno degli appuntamenti più belli del programma di Lunedilibri.
La giornalista ha raccontato della sua eccezionale intervista fatta clandestinamente dieci anni fa ad Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace nel 1991 e icona della lotta per la democrazia. Lasorella ha spiegato chiaramente come “il regime birmano odi il suo popolo, i suoi cittadini e le altre etnie. Anche in occasione del passaggio del ciclone Nargis il regime sapeva che ci sarebbe stato, ma non ha avvisato la popolazione; dopo ha impedito che arrivassero gli aiuti internazionali e ha lasciato la popolazione a se stessa, abbandonando i cadaveri lungo i fiumi; i corpi marciscono ed inquinano le falde, lasciando la gente senza acqua”.
Carmen Lasorella ha spiegato che “la Birmania è un cuscino tra due giganti: India e Cina, che sono una di fronte all’altra grazie alla Birmania. Questo territorio è funzionale agli interessi cinesi perché attraverso quei territori la Cina si affaccia sul Golfo del Bengala ed ha una via breve verso l’Occidente. In Birmania c’è il petrolio, ma soprattutto gas naturale ed è il giacimento più importante del sud-est asiatico. Ci sono tutte le principali compagnie petrolifere del mondo, eppure la popolazione vive con un dollaro al giorno perché la classe dirigente birmana è scadente, è indecente e recentemente si sono imbarazzati perfino i cinesi”. Sono stati i cinesi che hanno evitato che le manifestazioni dello scorso autunno si trasformassero in un massacro come accadde nel 1988: “la Cina ha detto di frenare, ha fatto capire alla dirigenza incapace birmana che ormai la protesta dei monaci era sotto gli occhi di tutto il mondo, nonostante la rete fosse stata oscurata, e non era conveniente compiere una strage, anche in vista delle Olimpiadi”.
Zafferano, colore della speranzaLa giornalista ha spiegato che “il popolo birmano ha avuto un segno forte dalla politica internazionale e le proteste sono continuate anche dopo le manifestazioni d’autunno. L’interesse dell’opinione pubblica occidentale è stato alto e le grandi potenze hanno detto alla Cina di intervenire. La mobilitazione internazionale ha evitato il massacro: quello che non è accaduto per mezzo secolo ora può cominciare ad accadere”. Questa visione di speranza è stata confermata dall’intervento fuori programma di una ragazza birmana che era presente all’incontro e alzandosi dalla platea ha raccontato di essere tornata dalla Birmania ad Aprile e di aver percepito nel suo popolo la sensazione che sia davvero cambiato qualcosa.