Venerdi 28 – Palazzo Chigi – 0re 21 – Pavel Berman e Vsevolod Dvorkin
SIENA. Secondo concerto del Micat in Vertice dell’Accademia Musicale Chigiana, questo venerdi (28 novembre), che vivrà delle spiccate vivacità degli strumenti principe del classico. I giovani russi Pavel Berman al violino e Vsevolod Dvorkin al pianoforte, l’uno di scuola Isaac Stern e l’altro perfezionatosi con Karl Heinz Kammerling, presenteranno una panoramica avvincente che legherà, come nelle gradazioni di un arcobaleno, i colori sfarzosi dello stile di Mozart, quelli tersi e solari del profondo nord di Edward Grieg, e la luminosità gitana di Pablo De Sarasate.
Una serata gioiosa, questa in Palazzo Chigi Saracini, con inizio alle ore 21, che dispenserà saggi virtuosi in duetto nel puro divertimento di spettatori e interpreti.
Si comincia con la “Sonata in sol maggiore K.379” di Mozart, e si entra subito in una pagina di rococò scintillante. Profondità e gaiezze tecniche, nell’espressione dell’usuale sintesi di equilibrio tra piano e violino, che Wolfang Amadeus soleva mostrare in ognuna delle sue ventotto sonate in duo. Il passaggio poi dalla brillantezza dell’anima mozartiana a quella densa di impressionismo romantico di Grieg sarà meno brumoso di quanto si creda. Con la “Sonata in do minore op.45”, il compositore norvegese seduce con spunti melodici carezzevoli e fa avvertire piccoli echi del favolistico e meraviglioso Peer Gynt, appena composto. Infine, tre brani spagnoleggianti di Pablo De Sarasate, uno più bello dell’altro: ora decorativi o rigonfi di tristezze, ora entusiasmanti e irresistibili. Veri pezzi di bravura. Il primo, la “Zigeunerweisen op.20” (o altrimenti “Aria Zigana” e resta un mistero la titolazione tedesca), è un tema zingaro sul ritmo delle czàrdàs, ancora più fastoso nella versione orchestrale piacevolmente riconoscibile dal pubblico anche perché usata spesso nelle colonne sonore. Il secondo, una assai breve “Romanza Andalusa op.22 n.1”, è da centellinare per la soave completezza compositiva, di quelle che ammaliano. Si annuncia col sottofondo del piano, che resta in costante richiamo. Quindi l’entrata del violino, che penetra e strugge. Poi l’arco scivola in una strisciata strappacuore e, da lì, rinvigorisce gli animi con lievi tocchi di valzer prima del sibilo finale. Una delizia di passione latina, spinta “como siempre” magnificamente all’eccesso. Il virtuosismo a rotta di collo tornerà poi con l’ultimo brano, la “Fantasia da concerto sulla Carmen di Bizet op. 35”. Questa spettacolare rivisitazione strumentale di un sunto dell’opera gitana comincia in movimento lento e, non molto dopo, andrà a scatenarsi in una sorta di foga paganiniana. Ma sempre puntellata di guizzi ispanici che “encantano”. A Pavel Berman e a Vsevolod Dvorkin non sembrerà vero, specie in De Sarasate, ritrovare certe frenesie che riportano alle familiari danze russe (tra una malinconia e l’altra da Placido Don) e all’incedere coinvolgente delle rapsodie ungheresi. Berman, che suona un Maréchal del 1716 (ma anche un Guarneri del Gesù del 1736), ha raggiunto una speciale felicità che capita a pochi, quella di suonare spesso col padre pianista, il celebre Lazar Berman. Dvorkin, allievo nel’94 dello stesso Berman padre, ha ottenuto in quell’anno una borsa di studio offerta da Maurizio Pollini ed ha frequentato in Italia l’Accademia Pianistica di Imola.
Entrambi studenti al conservatorio Ciaikovskij di Mosca, Berman e Dvorkin hanno intrapreso strade parallele costellandole di premi ambiti come lo “Speciale Capricci di Paganini” per Berman e il “Viotti” a Dvorkin, e di recital sia in duo che da solisti, o con grandi gruppi da camera e formazioni orchestrali nel mondo. Berman è anche direttore artistico della lituana Kaunas Chamber Orchestra, e Dvorkin collabora stabilmente con la “Società dei Concerti” che fa capo al conservatorio Verdi di Milano.
Prima di chiudere, un accenno alla recente presentazione della novità editoriale della Fondazione Monte dei Paschi, dal titolo “La Chigiana di Siena, Guido Saracini e la sua Accademia Musicale”. Si tratta di un volume che, sin dalla copertina, più che un libro pare rappresentare un vero e proprio spartito. Curato da Guido Burchi e Giuliano Catoni, ricco di foto e d’ogni tipo di documentazione sulla musica a Siena, è stato presentato dal presidente della Fondazione, Gabriello Mancini, che ha tra l’altro annunciato l’avvenuta costituzione del coro dell’Accademia e, a breve, l’uscita di una preziosa raccolta sugli antichi organi del senese. Il professor Roberto Barzanti, dopo una lunga e minuziosa esposizione, ha così efficacemente fotografato il volume chigiano: “piacevole alla lettura e godibile allo sguardo”. Il lavoro monumentale di Guido Burchi e di Giuliano Catoni, per la parte musicale il primo e per quella d’archivio il secondo, è stato sintetizzato da Catoni con una frase tratta da Cervantes:”No es posible haber cosa mala, donde pasa la musica”. Sarebbe muy piaciuta a Pablo De Sarasate. Biglietti a ruba, ma c’è ancora tempo per i ritardatari: botteghino di Palazzo Chigi giovedì dalle 16 alle 18,30 e venerdi, in prossimità del concerto, a partire dalle ore 20.