Un significativo incontro di Giulia Tacchetti con il direttore dei Teatri di Siena
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Intervista a Vincenzo Bocciarelli a cura di Giulia Tacchetti
SIENA. Come scrive Romano Luperini, l’incontro è un evento. Come ogni evento l’incontro si attua all’incrocio tra un tempo ed uno spazio definiti per un caso o per una volontà e mette in movimento una serie di fatti. Nel 2024 Vincenzo Bocciarelli incontra i Teatri di Siena, come direttore artistico, chiamato dalla sindaca Nicoletta Fabio. Un incontro importante per la persona e per la città. Per la persona, perché torna a Siena e dalla sua famiglia dopo anni di assenza, pur avendo partecipato ad alcuni eventi come la presentazione del suo libro “Sulle ali dell’Arte”. Citando Mario Luzi, “mi guarda Siena, mi guarda da sempre”, lascia trapelare il profondo legame con la città, forse non sempre fatto di amore, per chi se ne va, ma presente in chi ritorna. Incontro importante per Siena, per dare una nuova vita al Teatro, perché la crisi economica, la perdita dei valori morali-culturali, la pandemia hanno relegato le persone a vivere una profonda solitudine. Riportare le famiglie, i giovani, il pubblico in genere a credere e, quindi, a frequentare il teatro è il compito, certamente molto impegnativo, assunto da Vincenzo Bocciarelli. Sicuramente appare sorretto da un incredibile entusiasmo, dalla volontà di dare il massimo, da una seria preparazione, in un momento in cui forse l’attore sente il bisogno di sperimentare qualche cosa di nuovo, di dare una svolta alla sua carriera, senza per questo abbandonare la recitazione.
Non è facile intervistare un personaggio avvicinato da mesi da tutti i media locali e non, più o meno con le stesse domande. Perciò ho scelto la via della chiacchierata cordiale-amichevole, sperando di fare emergere qualche nota inedita della persona o di approfondire alcune scelte. Comunque da questo incontro emergono gli orientamenti, le spinte, i desideri che hanno stimolato il direttore a costruire una interessante stagione teatrale.
Vorrei che commentasse queste due parole: provincia e pregiudizio
Mi piace iniziare questa chiacchierata con un momento di riflessione. Freni, limiti si incontrano un po’ in tutte le città d’Italia, anche in quelle grandi. La conquista per un artista, un ricercatore, un perlustratore del mondo umano è superare le proprie visioni, scrollarsi di dosso il peso del provincialismo, ergo il pregiudizio, la chiusura mentale, la paura di confrontarsi con chi ne sa di più o la pensa diversamente. Oggi la globalizzazione, l’abbattimento delle frontiere anche culturali rendono più facile questo percorso, nonostante gli uomini tornino a commettere i soliti errori. Alleggerirsi dal peso della visione “close”, come dicono gli Americani, è fondamentale, perchè ti fa uscire fuori da te stesso in senso “brechtiano” e guardare il mondo con una visione diversa. E’ un continuo work in progress. Silenziosamente ho osservato il mondo viaggiando, dando supporti a delle realtà produttive, creative. Questo percorso di personale crescita mi ha prodotto una personale esperienza. Per troppo tempo ho sentito dire che il cinema è in crisi, il teatro è in crisi. Ho cercato di capire, anche confrontandomi con i colleghi, per ristabilire la giusta connessione tra il pubblico ed il teatro. Si deve partire dall’elemento più elementare: l’amore. Entrare in teatro è catartico, sacro.
Così si riesce a cambiare il proprio punto di vista e superare il pregiudizio?
Come quando leggiamo un libro, lo iniziamo e non lo finiamo, perché il testo non lo conosciamo, diventa difficile, non piace, così capita in teatro e nasce il pregiudizio nei confronti di un testo, di un autore e la gente si allontana. Occorre aspettare, attendere. Ad esempio “Racconti disumani” di Kafka, con Pasotti, regia di Alessandro Gassmann è piaciuto molto al pubblico, perché la regia nell’allestimento è riuscita a decodificare certi concetti e farli comprendere al pubblico, il che dimostra quanto l’alchimia tra un bravo interprete e un bravo regista crei uno spettacolo di grande forza anche con testi reputati “difficili”. Consiglio il pubblico di entrare a teatro in modo rilassato, anche la respirazione è importante. Occorre avere fiducia ed abbandonarsi come in un rapporto d’amore, tra amici, perché il Teatro è respiro di bellezza. Gli spettacoli “brutti” fanno perdere la fiducia, deludono il pubblico e prima di recuperarla si fa una gran fatica.
Siena è una città conosciuta in tutto il mondo per la sua bellezza e anche questo, oltre al fatto di contare poco più di cinquantamila abitanti, produce un atteggiamento di difesa della tradizione, che potrebbe tradursi in una chiusura. Come spiega, infatti, i diversi comportamenti tra i teatri di Siena e quelli di Colle Val d’Elsa e Poggibonsi, lasciando momentaneamente da parte i motivi economici, che nel passato hanno presentato un cartellone teatrale più accattivante di quello senese?
Il Teatro dei Rinnovati di Siena ha secoli di storia sulle spalle, inserito in un preciso contesto e con tutto un background, senza per questo nulla togliere al Teatro del Popolo di Colle ed al Politeama di Poggibonsi. Pensate che quando ho recitato nel ’98 al Teatro del Popolo Shakespeare “La tempesta”, è venuto a vedermi da Parigi Patrice Chéreau. Sono situazioni diverse che non tolgono nulla a nessuno, perché il pubblico, grazie a Dio, c’è. Sono venuti a Siena a vedere i nostri spettacoli da tutta Italia: da Roma, da Grosseto, dall’Elba, da Firenze. Dicevamo una tradizione da difendere, convalidata dalla presenza sul territorio dell’Accademia Chigiana, che procura alla città un respiro internazionale. “La madre” è già stata l’anno scorso nell’Hinterland. Io quest’anno ho ottenuto il sold out riempendo il teatro, sono cose diverse. Cerco di avere spettacoli esclusivi. Sono riuscito a strappare a Milano “Aladin” ed avere la prima nazionale a Siena. Vi consiglio di venire a vedere Arturo Cirillo, uno dei più importanti attori di teatro, nel “Don Giovanni”, “Lo zoo di vetro” con Mariangela D’Abbraccio, come “I due Papi” con Rigillo e Colangeli. Siccome il pubblico non è rassicurato da qualche nome che conosce di meno, a proposito di fiducia, sappia che la scelta è avvenuta con grande attenzione, quindi non sarà deluso.
Aggiungo che sia Pasotti che Cirillo saranno nel febbraio al Gobetti di Torino. Altra domanda: attore e direttore artistico, che cosa cambia?
Devo molto a mio padre l’amore per l’arte in genere, dalla pittura, al teatro, all’opera lirica, non a caso inserita nel mio cartellone con opere di Puccini. Lo studio sia a Siena, ho frequentato l’Istituto d’Arte ed il Piccolo Teatro, che alla scuola di recitazione a Milano con Strehler mi hanno plasmato in maniera indelebile. Quando mi hanno dato l’incarico di creare il cartellone teatrale 24/25 sono partito dagli elementi basilari “perché fare teatro? perché venire a teatro?”. La gente merita di stare bene, di “nutrirsi” non di “gonfiarsi”, come nel cibo, con un cibo sano, così nell’apprendimento, nella letteratura con la buona letteratura. La giusta connessione tra mente, anima e corpo, come dicevano gli antichi. Ho immaginato un pubblico che, uscendo da teatro, fosse carico “d’amore”. La cura dei dettagli, la costruzione di qualsiasi cosa, la pianificazione dei tasselli dal cinema al teatro: questa è la strategia che ho adottato. Oltre ad un ventaglio di possibilità nel prezzo, perché tutti possano venire a teatro, con facilitazioni per gli anziani ed i giovani. Inoltre ho cercato di fare la giusta connessione tra popolarità e qualità. Grandi attori conosciuti, ma anche attori “veri”. Mi fa piacere ricordare al pubblico Flavio Insinna, un vero mattatore, e Giulia Fiume in “Gente di facili costumi”, che ha fatto divertire la gente, uscita dal teatro volando. Ho cercato di sottolineare l’attorialità, la genialità, il carisma che avevano i nostri grandi maestri da Strehler ad Albertazzi, che riempivano i teatri, a Mauri, a cui ho dedicato uno spettacolo. Punto all’essenza, più che alla forma. Il livello delle scuole di recitazione in Italia è molto alto, Giulia Fiume dimostra la bravura della new generation.
Carlotta Natoli ne “L’anatra all’arancia” è stata percepita dal pubblico in modo positivo, è risultata disinvolta e credibile, purtroppo, io occupavo un posto in fondo al teatro, le battute non sempre arrivavano. Forse è bene usare al meglio la possibilità che danno i microfoni di superare questi elementi che vanno a danneggiare la rappresentazione.
Può capitare che un attore una sera sia stanco, non dia il meglio della sua prestazione per problemi di salute. Noi dalle scuole siamo stati formati a recitare nei grandi spazi, ad esempio io non uso il microfono, ho recitato a Taormina, a Siracusa. Però c’è anche il problema dell’acustica, non sempre ottimizzata vuoi da dei rifacimenti o da elementi architettonici. Però se qualcuno non sente ha il diritto di urlare “voce”, è giusto far capire agli attori come sta andando la rappresentazione. Non è tanto la parola, ma la forza della battuta che esce fuori, la forza espressiva, la modulazione della voce, non si deve perdere un lavoro intimista. Eleonora Duse non “tromboneggiava”, da dei documenti che ho letto, pare che in alcuni spettacoli sussurrasse.
Indubbiamente si avverte subito la differenza tra chi proviene dalla televisione o dal cinema e chi viene dal teatro, pur avendo fatto televisione, perché sono due modi diversi di recitare. Nel cinema o nelle fiction televisive si può sbagliare e rifare la scena, questo nel teatro non è possibile. Non avevo intenzione di fare l’elogio della parola urlata, ma per sussurrare, occorre avere una buona scuola di recitazione alle spalle, che insegna a modulare la voce negli spazi chiusi come in quelli aperti; penso anche ai cantanti lirici, che devono sapere andare dalle note più alte a quelle più basse. Concludiamo con l’ultimo spettacolo con Ornella Muti, che interpreterà “Gattopardo. Il ritorno di Angelica”, non più l’Angelica dei venti anni.
Le date sono 11,12,13 aprile in prima nazionale al Teatro dei Rinnovati. Bellissime coreografie create dal maestro Nino Graziano Luca. Che dirige La Compagnia Nazionale di Danza Storica in valzer, mazurke, quadriglie e controdanze composte dal grande Nino Rota per il film di Visconti.
A proposito della Muti, vorrei commentasse una espressione pronunciata in “Eva contro Eva” di Mary Orr dalla protagonista, nel momento in cui la sua carriera di attrice sta rallentando per colpa dell’età – La donna attrice come strumento: solo corpo e voce?-
No, assolutamente. A Roma al palazzo Bonaparte abbiamo avuto modo di fare un servizio fotografico insieme. Stando accanto a lei, ho avuto modo di notare la forza , il carisma che passano attraverso i suoi occhi. Penso che ho provato queste emozioni verso Irene Papas, Max Von Sydow , che hanno lavorato con i grandi della loro epoca, acquisendo una incredibile capacità attoriale. Anche la Muti ha un background di lavoro, guidata dai grandi registi con cui ha lavorato e che ora non ci sono più. Forse è una delle attrici più conosciute all’estero. Lei non è solo Ornella Muti, ma è anche Francesca Rivelli, ha un qualcosa in più: è un’opera d’arte in movimento. Ha un carisma che va al di là delle tecniche del cinema, ho provato l’impressione di essere attraversato dal suo sguardo. Ovviamente deve essere bravo il regista o l’ideatore del progetto per organizzare e guidare.
Con grande curiosità, suscitata da queste parole, andrò a vedere lo spettacolo. Intanto Vincenzo Bocciarelli è reclamato a gran voce dal suo entourage. Lo ringrazio per la grande generosità con cui ha risposto alle mie domande.