E The look of silence di Oppenheimer
di Paola Dei
SIENA.Al secondo giorno dall’apertura ufficiale della 71 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, in Concorso per il Leone d’oro primo film italiano in gara: Anime nere di Francesco Munzi con, fra gli altri, Pappino Mazzotta, Barbara Bobulova, Marco Leonardi, Giuseppe Fumo, Fabrizio Ferracane, Aurora Quattrocchi, tratto dal romanzo omonimo di Gioacchino Criaco scrittore per Rubettino Editore. Il regista in conferenza stampa tiene a ricordare anche Fabrizio Luggirello, co-sceneggiatore del Film e presenza fondamentale, scomparso prematuramente a dicembre scorso.
Luigi, alias Marco Leonardi, calabrese di nascita, nel Film il fratello più giovane,nè un trafficante di droga, ammirato dal nipote Leo per il suo carisma e la sua decisionalità, molto diverso da Luciano, il padre, mentre Rocco, alias Peppino Mazzotta, anche lui calabrese di nascita, è un imprenditore grazie al denaro procuratogli da Luigi e vive a Milano. Luciano, Fabrizio Ferracane, il più grande dei tre fratelli parla con i morti e scioglie nell’acqua la polvere che trova ai piedi della statua di un Santo sperando che lo faccia guarire dal gran dolore che si porta dietro da anni dopo l’uccisione del padre per faide familiari di camorra.
Leo, alias Giuseppe Fumo,è il figlio ventenne di Luciano, che contrariamente al padre che cerca in ogni modo di condurre una vita tranquilla. è la generazione perduta, senza una precisa identità, rancoroso e testa calda al punto da far scoppiare di nuovo la guerra tra faide per una banale lite che in Calabria nell’Aspromonte non passa inosservata. Vendetta e paura guidano le mani dei protagonisti che sembrano agire controcorrente ad ogni logica guidati solo da quelle forze della tragedia che li spingono fino ad ucciderei fra di sè.
Il film è stato girato ad Africo, un paese che, come lo stesso regista sostiene, rappresenta uno dei luoghi più mafiosi d’Italia, un paese doppio dell’Aspromonte, metà sul mare e metà sui monti. La parte sul mare, dice ancora il regista, non ha identità è bellissima e deserta. La parte montana porta una eredità di ‘ndrangheta molto forte dove sussiste un sentimento trasversale di poca fiducia nello stato. “I paesani -ci raccontano gli attori- hanno aiutato tutti gli attori a parlare il dialetto di quei luoghi, correggendo anche coloro che, pur essendo calabresi, avevano ed un accento diverso.
Ottimi gli attori, film ben fatto, restiamo in attesa di vedere come saranno i successivi film italiani.
The Look of Silence
The Look of Silence
Joshua Oppenheimer sembra seguire le orme di Annah Harendt nel raccontarci un olocausto orientale avvenuto alla fine degli anni 60 in Indonesia a seguito dell’instaurarsi della dittatura. La banalità sprigiona infatti da ognuna della scene nelle quali, il giovane oculista a cui hanno ucciso il fratello, intervista con una troupe cinematografica, coloro che ne furono responsabili. Nessuno di loro mostra un’ombra di pentimento o una vera presa di coscienza, nonostante gli efferati omicidi compiuti da un’ondata di repressione verso chiunque fosse stato considerato comunista. Solo nei figli degli sciagurati boia compaiono momenti di dolore, di richiesta di perdono.
Appariva certamente complesso eguagliare la sceneggiatura di The act of Killing, ma Joshua Oppenheimer ha voluto provarci senza cambiare soggetto soggetto e modificando la tematica mostrandoci cosa è avvenuto in chi ha perduto la memoria per troppo dolore, come è avvenuto al padre del ragazzo ucciso, e chi invece ha deciso di non ricordare per non assumersi la responsabilità delle efferatezze commesse. Fra di loro anche chi invece ha scritto un libro e si vanta di ciò che ha fatto.
Rabbia, dolore, silenzi che hanno un peso e che mettono a nudo emozioni universali come la tenerezza, la disperazione e la ricerca di un riscatto.
La narrazione senza la visione diretta delle efferatezze commesse addolcisce la trama del film accompagnandoci anche là dove la rabbia per tanta ingiustizia ha il sopravvento anche su chi osserva,