E' il vincitore del Festival internazionale di Roma
di Paola Dei
ROMA. Lui è un introverso commerciante di chiodi e ferramenta, lei una estroversa ragazza, fra di loro una mucca ed un cinese e poi il fascino, la paura, il mistero e l’incanto che la quotidianità con i suoi paradossi può offrirci. Questi gli ingredienti del film “Un cuento chino”, la commedia di Sebastian Borensztein, una coproduzione fra spagna e argentina, che si è aggiudicata il Marc’Aurelio d’oro alla VIa edizione del festival del Film di Roma. Nulla di più gradito anche al pubblico che ha assegnato il proprio premio alla stessa pellicola.
Una aggraziata storia che scorre magicamente fino alla fine e che ci lascia con il desiderio di vedere altre scene del film. La dimensione individuale assume aspetti universali e permette ad ognuno di noi di ridere e piangere allo stesso tempo, operazione difficilissima da raggiungere senza scadere nel grottesco e nel già detto.
Il film esce da ogni stereotipo e ci fa comprendere quanto la realtà possa talvolta essere molto più assurda della fantasia e quanto possa offrire spazi per riflettere laddove l’incubo di una persona diventa il sogno dell’altra. In questo caso l’incubo del cinese, uno dei personaggi chiave della pellicola è “la mucca” e lo stesso animale rappresenta la realizzazione di un sogno per Mari la ragazza innamorata di Roberto (Ricardo Alberto Darin).
Il tema dell’emigrazione e dell’adattamento ad una cultura diversa sono affrontati in questa esilarante commedia senza retorica ma con ironia eppure con estrema profondità laddove le vite di ciascuno dei protagonisti sono intrise dei loro vizi e delle loro paure ma che essi stessi dimostrano di poter superare trascendendo la realtà stessa.
Una bella storia che fa sperare in una umanità dove l’uomo non è più solo e soltanto le sue paure, i suoi timori, il suo egoismo ma dove c’è altro, e che nel confronto con il mondo può stabilire rapporti dinamici e creativi. Roberto nel Film non delega a nessuno la responsabilità individuale della propria esistenza ma vive tutte le contraddizioni e non nega l’aspetto burbero del suo carattere dietro al quale è nascosta un’anima buona che colleziona fatti atipici della vita di ogni giorno accaduti nel mondo.
Molto bella la funzione simbolica della pellicola dove il grottesco ha il compito di unire ciò che la coscienza divide. Molto bella la sintesi di quattro vite più quella di due mucche e una capacità di riparazione interna che consente all’osservatore di percorrere la difficile strada dell’individuazione fino a ri-trovare il proprio destino.
Un bel film dal quale si esce con un gioioso debito verso coloro che ci hanno fatto trascorrere un’ora e mezza di vero sentimento al di là e fuori dal ogni pruderie e sentimentalismo. Un film che senza alcun vezzo di apparenza ha conquistato e messo d’accordo tutti.