di Gianni Basi
SIENA. L’anno scorso, a San Galgano, andammo dopo il concerto a stringere la mano a Boris Belkin, anzi Boris Davidovi?, per gli amici. Volevamo non solo complimentarci con lui ma anche conoscere cosa si provava nello stringere delle dita che, sino a poco prima, avevano sorretto, delicatamente, il peso lievissimo di un archetto. Le immaginavamo volatili, quelle dita. E invece avevano una forza nascosta, quella stessa di quando Belkin ci dà dentro sulle corde ed estrae i suoni più belli dai suoi violini. Un non datato ma perfetto Roberto Ragazzi, o un prestigioso Stradivari della collezione di Stato dell’ex Unione Sovietica.
Domenica sera (10 di agosto), Teatro dei Rozzi ore 21,15, ed uno dei più famosi violinisti in circolazione, assieme all’Orchestra di Sofia e al suo storico direttore Alipi Naydenov, presenterà al pubblico della 77^ Estate Musicale Chigiana un concerto coi fiocchi.
Tempo di accomodarsi in poltrona, ed ecco l’aria… frizzante dell’”Amico Fritz”, di Pietro Mascagni. Siamo nella romantica Alsazia, nell’intermezzo dell’atto terzo dell’opera, quando il finto tontolone Fritz (la cui metafora è ancora di moda …ehi tu, amico Fritz, a che gioco giochiamo!) cade consenziente nella rete della bella Suzel. Il momento è accompagnato da un violino incalzante e da un’esecuzione orchestrale vigorosa che sottolineano lo stile espressivo di Mascagni, qui incline alla distensione da commedia dopo il verismo piuttosto sanguigno de “La Cavalleria rusticana”. Molta eleganza nei richiami a Puccini e a Ponchielli, bello il sentimento amoroso che aleggia, ricalcando in musica il brio del lavoro teatrale originario, anno 1876, degli autori Eckmann e Chatrian.
Da Mascagni a Prokofiev, e qui in certo modo il gioco si fa duro. Nel senso che nel “Concerto n.2 in sol minore op.63”, del grande musicista russo, i toni diventano lirici, profondi, e l’incedere affascinante del violino regala squarci limpidissimi sia nel fraseggio che nel dialogo in amalgama col corpo orchestrale. Sarà proprio l’Orchestra di Sofia di Naydenov, un’istituzione ormai legata all’Accademia Chigiana per via delle collaborazioni sin dai tempi di Franco Ferrara, a giganteggiare poi nell’ideale vernissage dei “Quadri da una esposizione” di Modest Mussorgskij. Saltando da un soggetto all’altro, con tutti gli strumenti possibili. I “dipinti” musicali – ispirati dalla visita ad una mostra moscovita dell’inquieto compositore di San Pietroburgo (folle e avvincente quella sua “Notte sul Monte Calvo” ripresa in modo sinistramente percussivo dai New Trolls ai tempi dei “Concerti grossi”) – riguardano l’osservazione di dieci oli su tela, collegati fra loro da cinque giunture di tema ricorrente, da cui ogni volta parte la musica decrittiva di un nuovo quadro. Una scommessa vinta, quella di Mussorgskij, per attrarre l’attenzione degli amatori d’arte sulla sua musica. In origine, i “Quadri” erano solo per piano e già davano non poche suggestioni. Poi, complici Rimsky Korsakov, Ravel, e Gortchakov (ed è di quest’ultimo l’orchestrazione che ascolteremo), la “suite pittorica” fu rielaborata per orchestra. E peccato che, le ultime due versioni, divenute capolavori assoluti, Mussorgskij non abbia fatto in tempo ad apprezzarle. Dei dieci quadri – ognuno di breve esecuzione, il tempo di uno sguardo fuggevole – raccomandiamo al pubblico il primo, con gli attacchi da Quinta di Beethoven all’arrivo notredamesco de “Lo Gnomo; il terzo, la vivacità dei giochi dei bimbi nei giardini parigini delle “Tuileries”; il quarto, con la grancassa a scandire il passaggio di un carro di buoi, il “Byldo”, nei campi polacchi. Infine, la gaiezza del quinto quadro col buffo “Balletto dei pulcini nei loro gusci”, il movimentato “Mercato di Limoges” nel settimo, il grottesco del nono col turbolento antro della strega “Baba Yaga”, e, nell’ultimo, la maestosa sonorità de “La grande porta di Kiev”. Una porta gigantesca che si apre lentamente, ed è come se invitasse tutti ad entrare in una sorta di mistero (cose, queste, adorate da Mussorgskij). Crescendo di trombe e di scampanellii poderosi, nell’accompagnarci verso l’ignoto. La serata di domenica al Teatro dei Rozzi, che cade proprio a metà del cartellone di questa eccezionale Estate Chigiana, è di quelle che, tra i frizzi di Mascagni, l’elegia di Prokofiev e le pennellature bizzarre e impetuose di Mussorgskij, offre stati d’animo diversissimi.
Boris Belkin, docente chigiano dall’87, di stati d’animo e di relativi “quadri in musica” ne attraversa quotidianamente, e dall’età di sei anni. Una vita abbracciato al violino e una miniera di partiture in testa, quasi tutte a memoria. Continui i tributi al suo talento da quando, nel ’73, vinse il Concorso Nazionale Sovietico. Poi una serie di alti riconoscimenti ogni qualvolta ha collaborato con le maggiori orchestre del mondo. Tappe nei concerti e festival delle filarmoniche di Boston, Berlino, Londra, Pittsburg, Montreal, al Concertgebouw di Amsterdam. Con bacchette quali Bernstein, Maazel, Muti, Rattle. Con Zubin Metha, molti anni addietro, la sua prima incisione in disco: il “terribile” Concerto n.1 in re maggiore di Paganini, alta classe e virtuosismo estremo, e Belkin entrò di diritto nella grande musica. Innumerevoli poi i suoi duetti con altri artisti famosi, su tutti Mischa Maisky e l’amico Jurij Bashmet. L’anno scorso ha suonato in Giappone con Ashkenazy e in Australia con Gelmetti. Ques’anno è primo violino alla Gewandhaus di Lipsia e alla Staatskapelle di Dresda. Impressionante, fateci caso, quando attende di entrare in rincorsa fra uno stacco e l’altro dell’orchestra. Volteggia l’arco, si guarda intorno impaziente, suda, si sfiora il naso con l’archetto. Poi lo poggia di botto sul violino, e i capelli biondo cenere cominciano una danza tutta loro, la testa inarcata o premuta sul ponticello. Ad ascoltarsi severamente, in religioso piacere.
Domenica sera (10 di agosto), Teatro dei Rozzi ore 21,15, ed uno dei più famosi violinisti in circolazione, assieme all’Orchestra di Sofia e al suo storico direttore Alipi Naydenov, presenterà al pubblico della 77^ Estate Musicale Chigiana un concerto coi fiocchi.
Tempo di accomodarsi in poltrona, ed ecco l’aria… frizzante dell’”Amico Fritz”, di Pietro Mascagni. Siamo nella romantica Alsazia, nell’intermezzo dell’atto terzo dell’opera, quando il finto tontolone Fritz (la cui metafora è ancora di moda …ehi tu, amico Fritz, a che gioco giochiamo!) cade consenziente nella rete della bella Suzel. Il momento è accompagnato da un violino incalzante e da un’esecuzione orchestrale vigorosa che sottolineano lo stile espressivo di Mascagni, qui incline alla distensione da commedia dopo il verismo piuttosto sanguigno de “La Cavalleria rusticana”. Molta eleganza nei richiami a Puccini e a Ponchielli, bello il sentimento amoroso che aleggia, ricalcando in musica il brio del lavoro teatrale originario, anno 1876, degli autori Eckmann e Chatrian.
Da Mascagni a Prokofiev, e qui in certo modo il gioco si fa duro. Nel senso che nel “Concerto n.2 in sol minore op.63”, del grande musicista russo, i toni diventano lirici, profondi, e l’incedere affascinante del violino regala squarci limpidissimi sia nel fraseggio che nel dialogo in amalgama col corpo orchestrale. Sarà proprio l’Orchestra di Sofia di Naydenov, un’istituzione ormai legata all’Accademia Chigiana per via delle collaborazioni sin dai tempi di Franco Ferrara, a giganteggiare poi nell’ideale vernissage dei “Quadri da una esposizione” di Modest Mussorgskij. Saltando da un soggetto all’altro, con tutti gli strumenti possibili. I “dipinti” musicali – ispirati dalla visita ad una mostra moscovita dell’inquieto compositore di San Pietroburgo (folle e avvincente quella sua “Notte sul Monte Calvo” ripresa in modo sinistramente percussivo dai New Trolls ai tempi dei “Concerti grossi”) – riguardano l’osservazione di dieci oli su tela, collegati fra loro da cinque giunture di tema ricorrente, da cui ogni volta parte la musica decrittiva di un nuovo quadro. Una scommessa vinta, quella di Mussorgskij, per attrarre l’attenzione degli amatori d’arte sulla sua musica. In origine, i “Quadri” erano solo per piano e già davano non poche suggestioni. Poi, complici Rimsky Korsakov, Ravel, e Gortchakov (ed è di quest’ultimo l’orchestrazione che ascolteremo), la “suite pittorica” fu rielaborata per orchestra. E peccato che, le ultime due versioni, divenute capolavori assoluti, Mussorgskij non abbia fatto in tempo ad apprezzarle. Dei dieci quadri – ognuno di breve esecuzione, il tempo di uno sguardo fuggevole – raccomandiamo al pubblico il primo, con gli attacchi da Quinta di Beethoven all’arrivo notredamesco de “Lo Gnomo; il terzo, la vivacità dei giochi dei bimbi nei giardini parigini delle “Tuileries”; il quarto, con la grancassa a scandire il passaggio di un carro di buoi, il “Byldo”, nei campi polacchi. Infine, la gaiezza del quinto quadro col buffo “Balletto dei pulcini nei loro gusci”, il movimentato “Mercato di Limoges” nel settimo, il grottesco del nono col turbolento antro della strega “Baba Yaga”, e, nell’ultimo, la maestosa sonorità de “La grande porta di Kiev”. Una porta gigantesca che si apre lentamente, ed è come se invitasse tutti ad entrare in una sorta di mistero (cose, queste, adorate da Mussorgskij). Crescendo di trombe e di scampanellii poderosi, nell’accompagnarci verso l’ignoto. La serata di domenica al Teatro dei Rozzi, che cade proprio a metà del cartellone di questa eccezionale Estate Chigiana, è di quelle che, tra i frizzi di Mascagni, l’elegia di Prokofiev e le pennellature bizzarre e impetuose di Mussorgskij, offre stati d’animo diversissimi.
Boris Belkin, docente chigiano dall’87, di stati d’animo e di relativi “quadri in musica” ne attraversa quotidianamente, e dall’età di sei anni. Una vita abbracciato al violino e una miniera di partiture in testa, quasi tutte a memoria. Continui i tributi al suo talento da quando, nel ’73, vinse il Concorso Nazionale Sovietico. Poi una serie di alti riconoscimenti ogni qualvolta ha collaborato con le maggiori orchestre del mondo. Tappe nei concerti e festival delle filarmoniche di Boston, Berlino, Londra, Pittsburg, Montreal, al Concertgebouw di Amsterdam. Con bacchette quali Bernstein, Maazel, Muti, Rattle. Con Zubin Metha, molti anni addietro, la sua prima incisione in disco: il “terribile” Concerto n.1 in re maggiore di Paganini, alta classe e virtuosismo estremo, e Belkin entrò di diritto nella grande musica. Innumerevoli poi i suoi duetti con altri artisti famosi, su tutti Mischa Maisky e l’amico Jurij Bashmet. L’anno scorso ha suonato in Giappone con Ashkenazy e in Australia con Gelmetti. Ques’anno è primo violino alla Gewandhaus di Lipsia e alla Staatskapelle di Dresda. Impressionante, fateci caso, quando attende di entrare in rincorsa fra uno stacco e l’altro dell’orchestra. Volteggia l’arco, si guarda intorno impaziente, suda, si sfiora il naso con l’archetto. Poi lo poggia di botto sul violino, e i capelli biondo cenere cominciano una danza tutta loro, la testa inarcata o premuta sul ponticello. Ad ascoltarsi severamente, in religioso piacere.