Giannini ci riprova. Con una lezione di regia
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Una lezione di regia caratterizzata da un linguaggio allusivo, onirico e metaforico nell’opera seconda di Giancarlo Giannini, regista che – dopo Terno secco del 1987 – torna nelle sale italiane con Ti ho cercata in tutti i necrologi che ha come interpreti lo stesso Giancarlo Giannini accanto a Silvia De Santis, Jeffrey R. Smith, Jonathan Malen, F. Murray Abraham. Distribuzione Bolero Film.
Due anime: quelle di vittima e carnefice interpretati da Giancarlo Giannini e da Jeffrey R. Smith o una sola anima suddivisa per esigenze cinematografiche in due personaggi distinti? In fondo ognuno di noi è persecutore e perseguitato, leone e gazzella, ombra e luce, aggressore e aggredito in una lotta continua per sopravvivere alla quotidianità. Questa una delle trovate intriganti della pellicola girata in Canada che, per i paesaggi nevosi e per l’intensità interpretativa evoca Essenzial Killing di Jerzy Skolinowsky con Vincent Gallo. In entrambe la freddezza infusa dai paesaggi nevosi si scontra con la forza emotiva dei protagonisti in una estenuante fuga verso la libertà intesa nella sua accezione più ampia.
Un thriller dove il tema del doppio viene continuamente portato alla coscienza e che oltre nella dicotomia vittima-carnefice si esprime nelle scene girate al confine fra la vita e la morte, fra Eros e thanatos, fra la sobrietà e la follia, fra gli archetipi e gli stereotipi, espressi magistralmente dalle tonalità vocali del grande attore che spaziano fra intensità profonde e sberleffi sarcastici e dove anche i tratti della protagonista femminile riconducono al doppio della figura del Dr. Jakill e Mr. Hyde.
“La storia di un uomo semplice, anche candido” – come dice lo stesso regista- che si fa cacciare 25 volte, per realizzare il sogno di poter comprare una sfolgorante Mercedes nera.
Nikita, questo il nome del protagonista, con il tratto tipico dell’italiano, dopo aver svolto per anni il lavoro di tassista a seguito di un incidente, emigra in Canada e si cimenta in molti lavori fino a diventare autista di un carro funebre.
La sera, al termine del lavoro, si cimenta con i colleghi nel gioco del poker, nel quale sembra esser dotato di considerevoli talenti fin quando, un giorno viene avvicinato da un uomo misterioso e facoltoso che, venuto a conoscenza del sogno di Nikita, lo invita a giocare a poker in un “tavolo di quelli che contano” in una villa fuori Toronto e dove Nikita sembra risultare vincitore assoluto per poi perdere tutto improvvisamente. I membri del tavolo da gioco gli propongono di saldare il debito facendo da preda in una vera e propria caccia all’uomo della durata di 20 minuti. Se al termine del tempo stabilito Nikita sarà salvo, il debito sarà estinto per sempre.
L’uomo accetta e non solo ne uscirà vincitore nei panni di un Rambo casalingo dalla napolitanità ingegnosa (cfr. Giannini), ma affronterà per altre 25 volte l’estenuante caccia all’uomo uscendone vivo ogni volta con rinnovata energia, quasi a tratteggiare il personaggio del Don Giovanni Mozartiano che dopo ogni conquista amorosa trovava nuova linfa per la conquista successiva, qui le energie libidiche sono rivolte alla vita ed alla morte, ma come già ricordato sopra, Eros e thanatos viaggiano paralleli.
Durante le sue fughe in mezzo alla neve, Nikita si avvicinerà anche all’amore incontrando una donna imprendibile, che, contrariamente ad Emmanuelle Seigner di Essenzial Killing che come una angelica figura arriva a cavallo di un destriero bianco ed offre una via d’uscita al protagonista, é molto più ambigua; demoniaca e angelica, fredda e insensibile ed al tempo stessi piena di sensibilità. Un ruolo non facile che mette in scena registri narrativi diversi e propone un ruolo di donna carica di simboli per rappresentare concetti che è impossibile definire e completare. In mezzo a tutto spicca il grande alfiere Giannini-Nikita che occhieggiando con sarcasmo e drammaticità con la possibilità di muoversi sulla scacchiera in diagonale come un alfiere capace di stupire e cogliere di sorpresa l’avversario in bilico fra sobrietà e follia, fa scacco matto al Re. In fondo in francese l’alfiere degli scacchi si chiama Le fou che significa folle ed in tedesco Läufer che significa corridore. E la vita di ognuno di noi non è forse il continuo gioco di un equilibrista che si barcamena fra la follia e la corsa?
Purtroppo coloro che hanno cercato accaniti la trama logica in ogni sequenza della pellicola hanno dimenticato che il cinema non sottostà alle regole del linguaggio cognitivo bensì a quello dell’arte ed hanno perso la magia e l’inesprimibile senso e significato di ciò che chiamiamo principio ed è invece la fine dove il finire è cominciare e dove la fine è là da dove partiamo.