L'autore ha scritto saggi su Cardarelli, Sbarbaro, Pavese, Bertolucci
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“Il mio è un saggio che nasce dall’amore per le poesie d’amore”, l’aveva presentato alla vigilia Ricci, professore d’italiano e latino al Classico, che ha indagato, unendo chiarezza divulgativa e puntuale analisi del testo, la forza e l’influsso del sentimento amoroso sui versi di alcuni tra i più grandi poeti del secolo scorso, moti dell’animo che hanno ispirato liriche famose ma spinto anche a destini tragici, come nel caso di Cesare Pavese. Ricci ha il merito di conferire un sapore interdisciplinare alla materia facendola uscire dai rigidi schemi pedagogici, con una brillantezza di connessioni alla Baricco che lettori e pubblico hanno visibilmente apprezzato. Ha ripreso così corpo il vecchio dubbio a proposito di Tenco, Paoli e De Andrè, guarda caso tutti genovesi come Montale, se la migliore poesia italiana sia stata espressa dai cantautori, e guai a dire che sono solo canzonette. Tante le notazioni illuminanti, sul coinvolgimento fisico nella lettura della poesia da Borges a Lorca, da Wittengstein a Tondelli, sul rapporto tra canzoni e poesie d’amore, sul mito della simbiosi perfetta tra musica e testo, sull’invito di Platone a uscire dalla soggettività e a lasciare che l’anima sedotta da Eros crei e inventi, e ancora riferimenti a Jung e Baudelaire, Caravaggio e Chet Baker. Per dire che l’amore è il motore dell’universo ma procura spesso sofferenze che solo i poeti sanno battezzare. Mario Specchio ha affermato che “il libro di Ricci è un percorso orfico, nel quale amore e perdita, vita e morte, ricordo e oblìo, si fronteggiano e dialogano tra loro…la parola poetica è la parola che dura o che ambisce a durare, risposta possibile al linguaggio banale e vuoto della quotidianità”.