SIENA. Se non andiamo errati è la prima volta che l’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo arriva a Siena. La 65^ Settimana Musicale Senese apre col botto alla vodka. Alle 21.15 di lunedì 7 luglio, una delle più prestigiose formazioni orchestrali russe, seconda solo al mitico Bolscioj di Mosca (che ha dovuto declinare l’invito chigiano per impreviste difficoltà organizzative dell’ultim’ora), si esibirà in Piazza Jacopo della Quercia (in Sant’Agostino in caso di pioggia) con arie di Puccini, Borodin e Tcajkowskij.
La richiesta dei biglietti è davvero eccezionale e del resto l’evento inaugurale della Settimana Musicale, offerto generosamente alla cittadinanza dal Monte dei Paschi, nasce in collaborazione con la Fondazione Festival Pucciniano di Torre del Lago, in virtù dei festeggiamenti per i 150 anni della nascita di Giacomo Puccini. Questo Puccini. Toscano come il suo immancabile sigaro, per intenderci un binomio vintage fra i più noti al mondo. L’immarcescibile Celentano, aria alla De Niro, puntando il dito potrebbe dirgli “sei forte e per questo così tu mi vai”. Tombeur de femmes per eccellenza, un po’ scavezzacollo, un po’ gigione, una volta al piano Puccini ti creava melodie di una dolcezza unica, persino irritante nel far calare, a tradimento, la lacrimuccia. Una sofferta meraviglia.
Prendiamo i brani in programma. Diretta da un’altro grande russo come Yuri Termiunakov, l’Orchestra di San Pietroburgo aprirà con un incantevole “Preludio sinfonico in la maggiore” che ha una storia tutta sua. Scritto dallo studente Puccini in quattro e quattr’otto come prova d’esame al conservatorio milanese, fece inizialmente storcere il muso ai criticoni del tempo. Gli rimproverarono “assenza di idee”. Poi, a distanza di anni, quelle stesse idee, fatte di due tosti movimenti a tutto fiati con un’esplosione di violini centrali e finali di intensa passionalità, da assenti, diventarono il crogiuolo di “stupendi effetti cromatici”. A Puccini, che amava i colori della vita, questa definizione sarebbe piaciuta. Così come non gli dispiacerebbe oggi la voce, e immancabilmente il fascino, della Dinara Alieva. Azerbajana, primadonna della Baku Opera e da poco reduce dai successi al Callas Grand Prix di Atene, la giovane soprano darà seguito al Preludio sinfonico con tre arie da
brivido. Ne ricordiamo alcune strofe, dai libretti degli illustri Giacosa e Illica, Adami e Simoni. Quel “…me ne starò nascosta un po’ per celia un po’ per non morire, al primo incontro, ed egli alquanto in pena chiamerà, chiamerà: piccina mogliettina, olezzo di verbena…” (da “Un bel dì vedremo”, Madama Butterfly); “…vivo sola soletta là in una bianca cameretta, guardo sui tetti e in cielo, ma quando vien lo sgelo il primo sole è mio…” (da “Sì, mi chiamano Mimì”, La Bohème); “…sì, principessa ascoltami! Tu che di gel sei cinta, da tanta fiamma vinta, l’amerai anche tu!” (da “Tu che di gel sei cinta”, Turandot). Quest’ultima frase, e poche altre righe su cui scrisse la partitura, furono il canto del cigno di un Puccini malato a cui sarebbe restato solo da musicare il “Nessun dorma” per terminare la Turandot. Non fece in tempo e lasciò una marea di appunti che Franco Alfano ricostituì con tocco felicissimo dando all’opera il guizzo immortale. La bellezza delle arie è l’asso nella manica di ogni melodramma. Esse vivono nel ricordo indelebile di un canto, di una scena cruciale, e dall’interpretazione che ne è data.
Ma è in Puccini che il brivido del riascolto lascia più che mai il segno. Quel trasporto incomparabile dei momenti descritti nelle tre arie, per esempio, laddove pulsa la giovinezza, la serenità, la speranza, l’amore, specie quando, come nelle prime due, è ancora lontano il colpo al cuore finale. Sensazioni che sembrano non concedere spazio al dramma in arrivo. Nella Turandot, invece, tutto va a concludersi al meglio, ma pur sempre dopo una storia ugualmente drammatica nel Ping-Pong-Pang di enigmi intrighi e delitti fra dame e cortigiani dagli occhi a mandorla. Alexander Borodin, con l’aiuto di Rimskij Korsakov e delle loro “Danze Polovesiane”, decisamente ci risolleva da queste calamitanti palpitazioni. Siamo nella steppa e il principe Igor assiste, in una prigionia rilassata da “riposo del guerriero”, alle evoluzioni di danzatrici “polovtzi” mezze bulgare e mezze turco-ungheresi che, assieme alle soldatesche, si scatenano in ritmi selvaggi, rituali, sensuali. Musiche balcaniche, bracieri ardenti, Battiato e Bregovic a fregarsi la mani.
Poi, la pagina profonda e trepidante della Quarta Sinfonia di Tcajkowskij, superbo fa minore in cui l’angoscia dell’esistere è espressa da temi orchestrali inquieti. L’intreccio musicale sembra evocare le pazze domande che a volte ci poniamo indagando sullo spauracchio del destino. E ci si frantuma. Ma lo scorrere delle note lascia presto intravedere gli spiragli giusti, quelli in cui la musica si fa emozione crescente e invita a dare uno sguardo “oltre”, avvinti, con Tcajkowskij, da un fiore solitario che svetta nel muschio ghiacciato della tundra. E gli entusiasmi ritornano. Un avvio multiforme e spettacolare per una 65^ Settimana Musicale mai tanto varia e ricca di sorprese.
I biglietti ancora disponibili, gratuiti per questo primo concerto, possono essere ritirati fino ad esaurimento entro il 7 luglio mattina dalle ore 10 alle 13 e dalle ore 15 alle 17 presso Palazzo Chigi Saracini (info: 0577/22091).
La lunga estate chigiana, signori, comincia da qui.
