SIENA. Ore 21,15 di giovedì 9 luglio, in Piazza Jacopo della Quercia parte il “carrozzone” estivo chigiano. Due mesi pieni, sino al 31 di agosto, quando la stagione si chiuderà col Concerto degli Allievi del Corso di Canto alla guida di Renato Bruson, uno dei migliori baritoni al mondo.
Come sempre, il calendario approntato dall’Accademia Musicale Chigiana di Siena non mancherà di brillare di interpreti e partiture di levatura internazionale, e, più di sempre, offrirà al pubblico nuove opere e proposte, nuovi talenti, nuove emozioni. Dal 9 al 17 luglio il sipario si aprirà sulla 66^ Settimana Musicale Senese; poi, dal 19, sarà la volta della 78^ Estate Musicale Chigiana che si inoltrerà in agosto in parallelo all’itinerante rassegna dei “Maestri Chigiani in Terra di Siena” con concerti in provincia e una tappa nel grossetano. Una vera festa della musica.
Saranno Antonio Pappano e l’Orchestra e Coro dell’Accademia Musicale di Santa Cecilia a dare il via alla festa, questo giovedì sera, con la grandiosa esecuzione della “Nona”, la Sinfonia n. 9 in re minore di Beethoven, quella che culmina col celebre “Inno alla gioia”. Brano che tutti conosciamo, specie da quando è assurto ad inno europeo, e che sa sempre infondere sentimenti elevati, sollevare proprio da terra e, in particolare, quando a “spingere” è la forza del coro.
Ciò non esclude minimamente l’apprezzamento di tutta la fase strumentale che, pian piano, attraverso uno sgusciare fuori da sonorità iniziali che sanno di incertezza e di caos, conduce per mano, rivestendosi di armonie multicolori, all’incontro con l’inno liberatorio finale che si leva al cielo. E’ un po’ il disordine del mondo che si ricompone in un ringraziamento gioioso, laddove le parole invitano ad uscire dal buio, qualunque buio l’umanità sappia calarsi addosso, sino a riconoscere in noi stessi la fonte primaria, essenziale, di fratellanza e di gioia. Altrimenti – come sia Beethoven che l’autore del testo Friedrich von Schiller si saranno detti – non ci resterà che rassegnarci alla dabbenaggine umana. Inno alla gioia, dunque, come inno alla vita e a quanto dovremmo essere capaci di fare per non rovinarcela. L’interpretazione di Pappano e del formidabile e nutrito cast musicale del “Santa Cecilia” (col Coro diretto dal maestro Marcovalerio Marletta), è fra le più eleganti e insieme appassionate, estremamente curata in ogni dettaglio. Quella di Antonio Pappano è una carriera travolgente. Ma anche un’eccezione. Si pensi che è diventato uno dei maggiori direttori del pianeta senza aver studiato musica. Cosa di cui lui stesso, bravo più di chi si è fatto non uno ma dieci conservatori, sa umilmente pentirsi. Eh, già. Perché o si è Pappano o è molto meglio dedicarsi ai solfeggi. Davvero sorpendente, al riguardo, che oggi fra i giovani sia di moda “l’accontentarsi” di riuscire a suonare, senza capire quanti limiti si pongano se non si prende di petto il “tu per tu” con le note e si ignori per tutta la vita cosa sia una biscroma.
Il fenomeno Pappano (uno su milioni di milioni), dopo anni da strepitoso autodidatta al pianoforte, è emerso a seguito dell’incontro con Daniel Barenboim al Festival di Bayreuth (come accade di solito: un passe-partout può sempre capitare, ma solo per chi ha talento). A fine anni ‘80 Pappano divenne l’assistente privilegiato di Barenboim. Poi, qualcosa di magico. Nel ‘93 dirige il “Sigrfrido” di Wagner, nel ‘97 debutta al Metropolitan di New York, nel ‘99 è lui sul podio a Bayreuth, nel 2002 è direttore a Londra del Covent Garden, dal 2005 guida il “Santa Cecilia” e nel 2008, anno del centenario dell’orchestra romana, ne è nominato Accademico effettivo. Sempre nel 2008 intraprende una proficua collaborazione con Maurizio Pollini e suonano insieme l’integrale delle sinfonie di Brahms. Nell’anno in corso, oltre alle tournèe col “Santa Cecilia”, continua ad essere ospitato dalle orchestre più importanti d’Europa, America, Asia, ovunque richiestissimo. Un eclettismo straordinario lo porta anche ad una infinità di registrazioni e, in tutte, come del resto dal vivo, si nota un’abilità unica nel plasmare la musica: nella sua corsa alla perfezione si avverte il rigore inglese (dove è nato), il senso pionieristico americano (dove è vissuto) e, soprattutto, la fantasia italiana delle sue origini. Quella che, in perfetto napoletano, gli fa dire che per lui il massimo della vita è “‘na spaghettata ca’ pummarola n’ coppa”. A questa ricca pagina d’apertura della stagione estiva chigiana, nonchè alla potenza del Coro di “Santa Cecilia”, si aggiungono le voci liriche di quattro fra i più illustri cantanti del momento: la soprano australiana Anita Watson, la messosoprano americana Andrea Baker, il tenore neozelandese Simon O’ Neill e il basso inglese Brindley Sherratt. Di questi tempi, una integrazione sonora magnifica. 185 anni fa, all’epoca della prima esecuzione della “Nona”, Beethoven, già sordo, non riuscì ad ascoltare una nota, nè voci, nè niente di ciò che dirigeva. Al termine, qualcuno lo invitò a voltarsi verso il pubblico osannante. Gioia su gioia. Poi c’è chi dice che sia robetta da nulla, la musica.
Come sempre, il calendario approntato dall’Accademia Musicale Chigiana di Siena non mancherà di brillare di interpreti e partiture di levatura internazionale, e, più di sempre, offrirà al pubblico nuove opere e proposte, nuovi talenti, nuove emozioni. Dal 9 al 17 luglio il sipario si aprirà sulla 66^ Settimana Musicale Senese; poi, dal 19, sarà la volta della 78^ Estate Musicale Chigiana che si inoltrerà in agosto in parallelo all’itinerante rassegna dei “Maestri Chigiani in Terra di Siena” con concerti in provincia e una tappa nel grossetano. Una vera festa della musica.
Saranno Antonio Pappano e l’Orchestra e Coro dell’Accademia Musicale di Santa Cecilia a dare il via alla festa, questo giovedì sera, con la grandiosa esecuzione della “Nona”, la Sinfonia n. 9 in re minore di Beethoven, quella che culmina col celebre “Inno alla gioia”. Brano che tutti conosciamo, specie da quando è assurto ad inno europeo, e che sa sempre infondere sentimenti elevati, sollevare proprio da terra e, in particolare, quando a “spingere” è la forza del coro.
Ciò non esclude minimamente l’apprezzamento di tutta la fase strumentale che, pian piano, attraverso uno sgusciare fuori da sonorità iniziali che sanno di incertezza e di caos, conduce per mano, rivestendosi di armonie multicolori, all’incontro con l’inno liberatorio finale che si leva al cielo. E’ un po’ il disordine del mondo che si ricompone in un ringraziamento gioioso, laddove le parole invitano ad uscire dal buio, qualunque buio l’umanità sappia calarsi addosso, sino a riconoscere in noi stessi la fonte primaria, essenziale, di fratellanza e di gioia. Altrimenti – come sia Beethoven che l’autore del testo Friedrich von Schiller si saranno detti – non ci resterà che rassegnarci alla dabbenaggine umana. Inno alla gioia, dunque, come inno alla vita e a quanto dovremmo essere capaci di fare per non rovinarcela. L’interpretazione di Pappano e del formidabile e nutrito cast musicale del “Santa Cecilia” (col Coro diretto dal maestro Marcovalerio Marletta), è fra le più eleganti e insieme appassionate, estremamente curata in ogni dettaglio. Quella di Antonio Pappano è una carriera travolgente. Ma anche un’eccezione. Si pensi che è diventato uno dei maggiori direttori del pianeta senza aver studiato musica. Cosa di cui lui stesso, bravo più di chi si è fatto non uno ma dieci conservatori, sa umilmente pentirsi. Eh, già. Perché o si è Pappano o è molto meglio dedicarsi ai solfeggi. Davvero sorpendente, al riguardo, che oggi fra i giovani sia di moda “l’accontentarsi” di riuscire a suonare, senza capire quanti limiti si pongano se non si prende di petto il “tu per tu” con le note e si ignori per tutta la vita cosa sia una biscroma.
Il fenomeno Pappano (uno su milioni di milioni), dopo anni da strepitoso autodidatta al pianoforte, è emerso a seguito dell’incontro con Daniel Barenboim al Festival di Bayreuth (come accade di solito: un passe-partout può sempre capitare, ma solo per chi ha talento). A fine anni ‘80 Pappano divenne l’assistente privilegiato di Barenboim. Poi, qualcosa di magico. Nel ‘93 dirige il “Sigrfrido” di Wagner, nel ‘97 debutta al Metropolitan di New York, nel ‘99 è lui sul podio a Bayreuth, nel 2002 è direttore a Londra del Covent Garden, dal 2005 guida il “Santa Cecilia” e nel 2008, anno del centenario dell’orchestra romana, ne è nominato Accademico effettivo. Sempre nel 2008 intraprende una proficua collaborazione con Maurizio Pollini e suonano insieme l’integrale delle sinfonie di Brahms. Nell’anno in corso, oltre alle tournèe col “Santa Cecilia”, continua ad essere ospitato dalle orchestre più importanti d’Europa, America, Asia, ovunque richiestissimo. Un eclettismo straordinario lo porta anche ad una infinità di registrazioni e, in tutte, come del resto dal vivo, si nota un’abilità unica nel plasmare la musica: nella sua corsa alla perfezione si avverte il rigore inglese (dove è nato), il senso pionieristico americano (dove è vissuto) e, soprattutto, la fantasia italiana delle sue origini. Quella che, in perfetto napoletano, gli fa dire che per lui il massimo della vita è “‘na spaghettata ca’ pummarola n’ coppa”. A questa ricca pagina d’apertura della stagione estiva chigiana, nonchè alla potenza del Coro di “Santa Cecilia”, si aggiungono le voci liriche di quattro fra i più illustri cantanti del momento: la soprano australiana Anita Watson, la messosoprano americana Andrea Baker, il tenore neozelandese Simon O’ Neill e il basso inglese Brindley Sherratt. Di questi tempi, una integrazione sonora magnifica. 185 anni fa, all’epoca della prima esecuzione della “Nona”, Beethoven, già sordo, non riuscì ad ascoltare una nota, nè voci, nè niente di ciò che dirigeva. Al termine, qualcuno lo invitò a voltarsi verso il pubblico osannante. Gioia su gioia. Poi c’è chi dice che sia robetta da nulla, la musica.
Info su www.chigiana.it. Tel. 0577/22091. Biglietti: Primi posti € 20, Ingresso € 14, Ingresso ridotto € 6. Fa eccezione il concerto del 14 luglio, i cui biglietti costeranno € 10 (posto unico).