Il sindaco Cenni parla di 1,2 milioni di visitatori. E vuole chiudere il mandato trasferendo la Pinacoteca nell
Servizio speciale di Enrico Campana
SIENA. Sotto il grande affresco di “Celestino III che offre privilegi all’Ospitale”, il sindaco Maurizio Cenni, aiutandosi col tablet, il tono pacato ma nient’affatto da “nastro registrato” intrattiene per circa 30 minuti un centinaio di ospiti prima di affidarli a Enrico Toti e Mauro Civai nel Fienile e nella Corticella per il gran finale di un evento utilizzato come momento di bilancio per un decennio di investimenti, e parlare del prossimo passo allo scopo di fare del Santa Maria della Scala un grande polo culturale internazionale, e pur nelle sue dimensioni accostabile al Louvre, il RiijkMuseum, l’Ermitage, i Musei Vaticani, il Prado e naturalmente gli Uffizi e l’area di Palazzo Vecchio.
“Mi tremano ancora i polsi – confessa tirando un sospiro il sindaco – pensando all’impegno assunto, ma possiamo dire di aver creato il maggior contenitore di cultura della città, una sfida per ripensare la nostra storia e un modo di gestire il futuro”. L’accostamento con Celestino III è solo casuale, infatti Cenni approfitta per levarsi qualche sassolino dalla scarpa, cosa fastidiosa soprattutto per un maratoneta vero quale lui è, mica d’accatto, per goliardia, come nel caso del patinato collega fiorentino Matteo Renzi. “Vogliamo tutelare le nostre tradizioni, essere ancorati alle nostre radici, perché non si parli di senesità in tono spregiativo, contro certe derive, pronti a rivolgerci anche nelle aule giudiziarie”, questo il veloce passaggio sibillino, tipo “chi ha orecchie per intendere, intenda…” .
Sembra di capire che l’attuale italico Governo, tramite i beni Culturali, stia cercando di mettere i bastoni fra le ruote a Siena che intende avari avanti decisa, anche in tempo di quaresima economica, nell’ambizioso compimento del progetto del Santa Maria della Scala “completato al 65 per cento, e già entrato nella fase successiva con l’incarico affidato all’architetto Canali”. Dietro l’angolo c’è un suo desiderio urgente da soddisfare, per chiudere da sindaco in scadenza questo impegno nei confronti della nascita di quella che lui chiama “la fabbrica de sapere”. “Sì, mi piacerebbe mettere la ciliegina sulla torta, e trasferire entro quaranta giorni le opere della Pinacoteca dentro il Santa Maria della Scala, un grandissimo fatto per la cultura europea.
L’invito del Museo del Santa Maria della Scala mi ha consentito di ammirare e ripercorrere la storia di Fonte Gaia, l’acqua che diede “allegrezza” alla città, segno di vita, punto d’incontro ed elemento in grado di mondare peccati ed errori. Trovarsi di fronte al recupero dei marmi preziosi di Jacopo della Quercia tratti dalla quattrocentesca Fonte Gaia, e i modelli in gesso di Tito Sarrocchi dell’ultimo “remake”, quello ottocentesco, è già da sindrome di Stendhal. E come non rimanere a bocca aperta di fronte al “Tesoro di Santa Maria della Scala” con reliquie, reliquari, pietre preziose provenienti da Costantinopoli, un acquisto del 1359 che offre la misura di quanto forte fosse economicamente il Buon Governo senese?
“Ci vorrà ancora almeno una quindicina d’anni perché gli 80 pezzi tornino nel luogo originale”, mi confessa un restauratore confermando davanti al bassorilievo forse di maggior pregio, la Madonna col Bambino in trono circondata dalle Virtù e Angeli “che “questa l’opera è in linea con la tradizione figurativa senese, ricca di inserimenti, a volte anche pietre preziose”, come sottolinea Enrico Toti. Questo restauro si considera anche il primo realizzato con l’alta tecnologia, i professionisti hanno lavorato col laser per far riemergere i tratti dell’opera di Pietro d’Agnolo di Guarnieri, alias Jacopo della Quercia (così conosciuto per esser nato nel contado senese di Querciagrossa). L’immortale Jacopo, un isolato ammirato però dal più famoso collega Michelangelo, uno che guardava tutti con l’occhio torto e insolentì per la strada Leonardo, ha lavorato sul marmo della Montagnola senese, più difficile da lavorare di quello di Carrara, per le venature che portano sovente alla scheggiatura.
Pochi sanno che complessi grandiosi come Fonte Gaia venivano colorati e arricchiti. “Sicuramente la Madonna, come tutti gli elementi, – mi svela il restauratore – dovevano essere vivi, abbiamo trovato piccole tracce di decori, di rossetto sulle labbra e anche di rimmel sulla pupilla, e tracce di broccato e colori. Il laser ci ha permesso di capire che la scultura era come un dipinto”.
Questo luogo incantato del Santa Maria della Scala, antico ospedale dal Mille, ha avuto, secondo le stime di Maurizio Cenni sul decennio, ben 1,2 milioni di visitatori, 1200 visite guidate, 100 esposizioni, ben 10 all’anno, varie attività convegniste e seminari “con un aumento di visitatori – rimarca – del 30 per cento nell’ultimo periodo”
SIENA. Sotto il grande affresco di “Celestino III che offre privilegi all’Ospitale”, il sindaco Maurizio Cenni, aiutandosi col tablet, il tono pacato ma nient’affatto da “nastro registrato” intrattiene per circa 30 minuti un centinaio di ospiti prima di affidarli a Enrico Toti e Mauro Civai nel Fienile e nella Corticella per il gran finale di un evento utilizzato come momento di bilancio per un decennio di investimenti, e parlare del prossimo passo allo scopo di fare del Santa Maria della Scala un grande polo culturale internazionale, e pur nelle sue dimensioni accostabile al Louvre, il RiijkMuseum, l’Ermitage, i Musei Vaticani, il Prado e naturalmente gli Uffizi e l’area di Palazzo Vecchio.
“Mi tremano ancora i polsi – confessa tirando un sospiro il sindaco – pensando all’impegno assunto, ma possiamo dire di aver creato il maggior contenitore di cultura della città, una sfida per ripensare la nostra storia e un modo di gestire il futuro”. L’accostamento con Celestino III è solo casuale, infatti Cenni approfitta per levarsi qualche sassolino dalla scarpa, cosa fastidiosa soprattutto per un maratoneta vero quale lui è, mica d’accatto, per goliardia, come nel caso del patinato collega fiorentino Matteo Renzi. “Vogliamo tutelare le nostre tradizioni, essere ancorati alle nostre radici, perché non si parli di senesità in tono spregiativo, contro certe derive, pronti a rivolgerci anche nelle aule giudiziarie”, questo il veloce passaggio sibillino, tipo “chi ha orecchie per intendere, intenda…” .
Sembra di capire che l’attuale italico Governo, tramite i beni Culturali, stia cercando di mettere i bastoni fra le ruote a Siena che intende avari avanti decisa, anche in tempo di quaresima economica, nell’ambizioso compimento del progetto del Santa Maria della Scala “completato al 65 per cento, e già entrato nella fase successiva con l’incarico affidato all’architetto Canali”. Dietro l’angolo c’è un suo desiderio urgente da soddisfare, per chiudere da sindaco in scadenza questo impegno nei confronti della nascita di quella che lui chiama “la fabbrica de sapere”. “Sì, mi piacerebbe mettere la ciliegina sulla torta, e trasferire entro quaranta giorni le opere della Pinacoteca dentro il Santa Maria della Scala, un grandissimo fatto per la cultura europea.
L’invito del Museo del Santa Maria della Scala mi ha consentito di ammirare e ripercorrere la storia di Fonte Gaia, l’acqua che diede “allegrezza” alla città, segno di vita, punto d’incontro ed elemento in grado di mondare peccati ed errori. Trovarsi di fronte al recupero dei marmi preziosi di Jacopo della Quercia tratti dalla quattrocentesca Fonte Gaia, e i modelli in gesso di Tito Sarrocchi dell’ultimo “remake”, quello ottocentesco, è già da sindrome di Stendhal. E come non rimanere a bocca aperta di fronte al “Tesoro di Santa Maria della Scala” con reliquie, reliquari, pietre preziose provenienti da Costantinopoli, un acquisto del 1359 che offre la misura di quanto forte fosse economicamente il Buon Governo senese?
“Ci vorrà ancora almeno una quindicina d’anni perché gli 80 pezzi tornino nel luogo originale”, mi confessa un restauratore confermando davanti al bassorilievo forse di maggior pregio, la Madonna col Bambino in trono circondata dalle Virtù e Angeli “che “questa l’opera è in linea con la tradizione figurativa senese, ricca di inserimenti, a volte anche pietre preziose”, come sottolinea Enrico Toti. Questo restauro si considera anche il primo realizzato con l’alta tecnologia, i professionisti hanno lavorato col laser per far riemergere i tratti dell’opera di Pietro d’Agnolo di Guarnieri, alias Jacopo della Quercia (così conosciuto per esser nato nel contado senese di Querciagrossa). L’immortale Jacopo, un isolato ammirato però dal più famoso collega Michelangelo, uno che guardava tutti con l’occhio torto e insolentì per la strada Leonardo, ha lavorato sul marmo della Montagnola senese, più difficile da lavorare di quello di Carrara, per le venature che portano sovente alla scheggiatura.
Pochi sanno che complessi grandiosi come Fonte Gaia venivano colorati e arricchiti. “Sicuramente la Madonna, come tutti gli elementi, – mi svela il restauratore – dovevano essere vivi, abbiamo trovato piccole tracce di decori, di rossetto sulle labbra e anche di rimmel sulla pupilla, e tracce di broccato e colori. Il laser ci ha permesso di capire che la scultura era come un dipinto”.
Questo luogo incantato del Santa Maria della Scala, antico ospedale dal Mille, ha avuto, secondo le stime di Maurizio Cenni sul decennio, ben 1,2 milioni di visitatori, 1200 visite guidate, 100 esposizioni, ben 10 all’anno, varie attività convegniste e seminari “con un aumento di visitatori – rimarca – del 30 per cento nell’ultimo periodo”