Pennellate che fanno vibrare come le note di un violino
di giorgio mancini
SAN GIMIGNANO – E’ una grande emozione rivedere e “rivivere” un artista come Alfredo Beghè.
A dieci anni dalla sua morte escono dalla casa-studio anche opere inedite e mai viste prima o dimenticate nel cassetto della memoria. Opere, come sottotitola la mostra, che vanno dal 1960 al 2001, anno nel quale, improvvisamente, l’artista è morto. La mostra, allestita sapientemente nel Palazzo della Cancelleria a San Gimignano, fino al 10 agosto, al di là delle opere esposte, grazie alla raffinata sensibilità della figlia del pittore, Silvia Beghè, anch’essa artista ceramista ma con la “C” maiuscola, ha un grandissimo merito. Per la prima volta, quel grande locale di proprietà del Comune, da “stanzone” è diventato un vero “spazio espositivo”. E’ bastato poco, ma forse molto intelletto, e questa mostra lo conferma, sia per la qualità artistica, sia per il modo di come sono state esposte le opere, ridipingendo, addirittura, ma in modo appropriato, le pareti e i divisori.
Nel ricco catalogo curato da Massimo Vezzosi, vecchio amico dell’artista, si ripercorre la stagione della pittura intrapresa non casualmente da Alfredo, ma che non dimenticherà mai anche un altro suo grande amore: il violino.
La pittura di Beghè, dopo il primo periodo degli anni ’60, come si può ammirare nella mostra, potremmo dire che si divide in due filoni: quello “paesaggistico” e quello dei “ritratti”, visti con gli occhi della sua trasposizione e con la sua personalissima tecnica pittorica, col segno forte e “incisivo”, che finiscono come impressi sulla tela, sulla masonite, sulla carta, usando matericamente il colore che perde il cromatismo reale.
“Indubbio che l’artista – scrive nel catalogo Massimo Vezzosi – nei suoi numerosi paesaggi elbani, ci abbia restituito un’immagine di quell’isola decisamente poco convenzionale, lontana dalle vedute solari e ridenti di amene località marine… Beghè affascina – continua Vezzosi – per le sue vedute di pezzi di scogliere frastagliate e impervie; grossi massi che precipitano in mari oscuri, case che paiono perdere ogni reale struttura architettonica per trasformarsi anch’esse in rocce forate, a volte, da finestre aperte sul nulla come buchi oscuri. E in questi territori secchi e bruciati, dove si fanno profondi i verdi della macchia mediterranea e salgono in cieli graffiati dal volo di bianchissimi gabbiani i rami contorti dei mirti e delle tamerici, vivono personaggi che hanno nei volti e nelle mani le stesse linee e gli stessi colori delle terre nelle quali, e dalle quali, sono nati”.
Forse queste figure, poi, nel 1998, ispirano Beghè a dipingere una serie di ritratti di personaggi a lui cari della musica, della letteratura, della pittura, con una ricerca introspettiva che si esplica in un segno pittorico dai contorni espressivi.
Segni acuti come le note alte tratte dai crini di cavallo dell’archetto sulle corde di un violino.
Quel suono di violino che Alfredo Beghè amava, e questa mostra, curata dalla figlia e dagli affetti a lui più cari, non vuole essere una melodia in memoria, ma è un concerto con tutte le sonorità e i colori che si vivono sullo spartito e sulla tavolozza di un vero artista.
(Nella foto Silvia Beghè accanto alla tela: Autoritratto con Silvia, anni ’70)