Sguardi su pensieri diversi; su culture diverse
di Viola Caon
SIENA. Pochi indumenti sono stati così discussi come il velo nel mondo arabo, che per molti nella società occidentale è diventato simbolo di repressione della donna.
Ma la Professoressa Leila Ahmed, insegnante di studi femminili all’Harvard Divinity School, ha di recente pubblicato un libro, A quiet devolution – Una rivoluzione silenziosa, nel quale propone una lettura diversa dell’indumento arabo, dopo aver scoperto che nel mondo occidentale molte donne decidono liberamente di indossarlo.
Intervistata dalla giornalista di origini iraniane Azadeh Moaveni al Frontline Club, il punto di ritrovo dei giornalisti esteri a Londra dove è stato tenuto nascosto il Julian Assange di Wikileaks, Leila Ahmed sviluppa nel suo nuovo saggio un’esaustiva dimostrazione di come il velo si sia evoluto nel corso degli anni e abbia assunto significati diversi a seconda del contesto storico-culturale.
“In quanto femminista, ero io stessa particolarmente diffidente nei confronti dell’hijab – tipo di velo che copre interamente la testa, ma non il viso. Mi ci sono voluti 10 anni di studio e questo libro per capire che non necessariamente il velo è un segno di costrizione e repressione”.
Nella prima parte del libro, Leila Ahmed ripercorre e analizza le origini storiche della concezione occidentale del velo e dimostra come tra fine XIX e inizi XX secolo i colonizzatori bianchi abbiano iniziato ad attribuire al velo il significato di repressione con cui è normalmente conosciuto oggi.
“Non dobbiamo dimenticare che un tempo anche le donne ebree e cristiane indossavano il velo. È solo nell’ultimo secolo che la cosa viene letta come caratteristica della cultura islamica e della sua concezione della donna”, dice Ahmed.
Per indagare le implicazioni socio-culturali contemporanee del velo, la scrittrice propone un’analisi del rapporto tra cittadini americani e islamici negli Stati Uniti. Secondo la sua lettura, un evidente cambiamento è avvenuto dopo l’11 settembre: “è innegabile che qualcosa sia cambiato nell’atteggiamento delle giovani generazioni islamiche. Noto che i ragazzi musulmani negli USA tendono ad essere molto più conservatori e chiusi dei propri genitori”.
Inoltre, dice la Ahmed, il velo ha assunto significati molto diversi nel corso della propria storia. Ad esempio, molto spesso è stato indossato come un segno di protesta e di liberazione nel caso, ad esempio, dell’appoggio alla causa palestinese e, nel mondo occidentale, contro il divieto di indossare il velo imposto da alcuni governi.
“Vietare il velo non funziona”, dice la Ahmed. Il riferimento è chiaramente a Sarkozy e al governo francese. “Fra le altre, è evidente una contraddizione in questo caso: Sarkozy prima bandisce il velo come “segno di schiavitù e sottomissione”, poi se ne va in Arabia Saudita a congratularsi per i progressi sulla via della democrazia”!
Nell’emirato arabo infatti il velo è obbligatorio e la Ahmed fa una chiara distinzione in questo caso avendo parlato con alcune donne provenienti da lì. In conclusione infatti la professoressa egiziana chiarisce che la sua ipotesi secondo la quale il velo si sia ormai del tutto sganciato da implicazioni religiose e integraliste e che anzi costituisca spesso una libera scelta, non è applicabile a quei paesi in cui è imposto con la forza.