di Paola Dei
SIENA. Dopo il ritardo nell’uscita, causato dalla pandemia, esce al cinema Alessandro VII Il cattivo poeta, opera prima scritta e diretta da Gianluca Jodice, prodotto da Matteo Rovere e Andrea Paris, con Sergio Castellitto nei panni di Gabriele D’Annunzio e Francesco Patanè nei panni di Giovanni Comini. Proiettato in 322 sale italiane il film conquista il gradino più alto del podio, guidando il quarto weekend delle riaperture con un incasso di 198.725 euro, con una media di 617.
Il film è un biopic sugli ultimi anni di vita di colui che venne soprannominato il Vate e che di solito nelle scuole viene annoverato fra i poeti noiosi e ampollosi della nostra letteratura. Ma D’Annunzio è tutt’altro, come ci dimostra il film, nel quale viene evidenziato il desiderio di circondarsi di cose belle senza vergognarsi di un estetismo che é diventato leggenda. Un mix fra storia personale e storia dell’Italia in cui il poeta, pur negli ultimi anni della sua vita, si preoccupa che Mussolini possa danneggiare il Paese. Un elogio alla libertà di pensiero anche quando diviene scomoda. D’Annunzio infatti non ha mai rinnegato le sue simpatie al fascismo ma é un pensiero indipendente, un ingestibile.
Un celebre aforisma di Mussolini recita che: “D’Annunzio è come un dente guasto: o lo si estirpa o lo si ricopre d’oro”. I suoi dialoghi con Francesco Patanè evocano il duello vampiresco fra Jonathan Harker e Nosferatu.
“Il cattivo poeta” riesce ad unire senza riserve o omissioni, ma con molta delicatezza e capacità registica e narrativa, dati biografici rigorosi; sappiamo infatti che la consulenza inoppugnabile è firmata da Giordano Bruno Guerri, sullo sfondo tenebroso e incerto dell’Italia fascista, in un clima che faceva presagire la folle avventura della guerra mondiale che segnò la sua catastrofe e lasciò segni indelebili anche negli anni successivi.
Dalle parole del regista si intuisce la passione e il rigore con le quali ha girato il film: “In realtà al cinema é sempre stato detto pochissimo su D’Annunzio. Fatte franche le aule universitarie, D’Annunzio é conosciuto pochissimo. Non solo, questa riproposizione mia, che va a complicare la vulgata di semplice aderente al regime di Mussolini ma anche l’impresa di Fiume che… è una pagina inedita, rocambolesca, folle e unica… non solo per la storia d’Italia ma per la storia mondiale…. Un poeta che prende una città nel cuore dell’Europa mettendo sotto scacco le cancellerie di mezza Europa e la tiene un anno e mezzo fondando un regno, contraddittorio, quasi utopistico,…. è insomma….una roba.., ma non se ne sa nulla in Italia. Secondo me se ne sa pochissimo!”.
Sergio Castellitto, grande trasformista, che ha interpretato in maniera magistrale, impeccabile ed essenziale il Vate, da parte sua ha detto: “Credo che questo film sia anche un risarcimento alla figura di un poeta, di un artista che non ha pari nel suo essere stato glorificato per molti anni della sua vita e così vilipeso e odiato… Raccontarlo in quella parte di vita che è la parte più fragile nella vita di ognuno di noi, in questo ultimo corridoio che ognuno di noi prima o poi percorre. Questo essere colto quindi in un momento in cui ha bisogno degli altri e fa questo incontro con la giovinezza, con questo ragazzo che diventa l’unico e ultimo figlio della sua vita. Un’altra opera d’arte che lui compie è quella di insegnare a questo ragazzo; di dargli due o tre indicazioni esistenziali. Non è un caso che fra loro due il momento di maggior contatto é quello in cui si parla dell’amore perduto. Gli intellettuali e gli scrittori italiani hanno sempre raccontato questa figura danneggiandola e danneggiante per la cultura italiana. Per questo il film è anche una forma di risarcimento, al di là della ricostruzione storica eccellente visiva e quant’altro, però la forza del film è la sua psiche. Noi guardiamo i nervi, guardiamo questa vecchiaia che è anche sgradevole sul corpo delle persone e sul corpo di un uomo che ha fatto della bellezza e del desiderio di bellezza la sua religione”.
Gli ambienti e le architetture fasciste fanno da sfondo e sembrano enormi rispetto ai personaggi, come nelle scene in cui il poeta, incurvato e stanco, vaga per i cortili del Vittoriale, ovvero la villa sopra Gardone del Garda dove Gabriele D’Annunzio abitò negli ultimi diciassette anni della sua vita, come un fantasma di sé stesso, ma senza mai essersi spezzato o aver spento la sua vivace intelligenza. Sua é la frase: “Di ogni idea bella se ne realizza sempre una più cupa”.
Le musiche sono di Michele Braga e la fotografia di Daniele Ciprì che riesce ad esaltare attori ed ambienti.