Shakespeare secondo Alessandro Gassman
di Giulia Tacchetti
SIENA. A distanza di poco più di un mese il Teatro dei Rinnovati torna ad aprire il sipario su un’altra opera di W. Shakespeare “ Riccardo III” (la recensione si riferisce alla replica del 20 marzo); l’altra “Doppio inganno” è stata rappresentata il 15 febbraio (v. recensione ). Anche nella passata stagione teatrale il Bardo è stato presente sulla scena con “Romeo e Giulietta” della regista Sinigaglia. E’ evidente la forte attenzione verso il teatro classico, che bene rappresenta le pieghe oscure dell’animo umano con un linguaggio altamente poetico ed il fascino della reinterpretazione in chiave moderna. Certamente questa operazione di restituzione di opere letterarie non è facile, occorre conoscere bene le regole per poterle rompere. Il connubio tra Vitaliano Trevisan ed Alessandro Gassmann (la doppia “n” era stata tolta all’anagrafe da Vittorio figlio dell’ingegnere tedesco Heinrich) ha prodotto un ottimo risultato “attraverso una struttura lessicale diretta e priva di filtri, che liberasse l’opera da ragnatele linguistiche e ne restituisse tutta la complessità, la forza, la bellezza e la straordinaria attualità.” La traduzione e l’adattamento di V. Trevisan risultano accurati e rispettosi del testo originale, tanto che, nell’uso di un linguaggio poetico, ma contemporaneo, Riccardo III, interpretato da A. Gassmann, pronuncia espessioni tratte dalla traduzione italiana del testo come quando si descrive “deforme, monco”. Gassmann con questa regia mostra di essersi liberato “dall’incombenza di gigantesche ombre familiari “, confrontandosi direttamente con il padre che fu Riccardo nel ’68 con Luca Ronconi. Riccardo diventa un corpo fuori misura atrraverso l’uso di una zeppa applicata agli scarponi, che lo fa dominare sugli altri, ma gli procura un movimento goffo, incerto tipico degli zoppi. Il trucco pesante rende il volto una maschera diabolica, che richiama quello del jocker Jack Nicolson nel film Batman anche per le risate che fanno rabbrividire. Indossa un cappotto militare arricchito da catene come un dittatore sanguinario; inevitabile il richiamo a certi quadri dell’espressionismo tedesco.
E’ un Riccardo odioso, pericoloso, spudorato, alimentato dalla sete di uccidere, emblema del male quando sembra dialogare con il pubblico. La scenografia proietta su teli elementi architettonici e naturali, persone in movimento (la videografia è di Marco Schiavoni) e concentra attraverso le luci l’attenzione sulla torre dove avvengono i più efferati delitti, così assistiamo sempre più sgomenti ad un’orgia di sangue, che in certi momenti assume il carattere di comportamenti di impressionante attualità. Il desiderio di uccidere esprime la malvagità e la sofferenza dell’animo umano, che nella parte finale si smarrisce nelle ombre della coscienza e dei fantasmi che lo assalgono. La regia concede maggiore spazio a personaggi come Tyrrel (Manrico Gammarota), il duca di Clarence (Marco Cavicchioli), il cugino Buckingham (Sergio Meogrossi), vittime di Riccardo. A fine spettacolo gli applausi sono per tutti gli attori, dieci, segno che il pubblico ha seguito con passione la rappresentazione, non solo per il fascino di Gassmann, ma rimane turbato e l’uscita da teatro non è accompagnata dai soliti commenti rumorosi ed allegri, anche se numerosi sono i giovani presenti.