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Quando l

Barlozzo dopo l

di Enrico Campana
SARTEANO. Suggellando col CD  e un videoclip  dal titolo “La Meta” quale suo passo d’entrata ufficiale nella galassia musicale che – purtroppo – non risponde a leggi di fisica, inclinazione dell’asse terrestre, bensì  al volgare “mercato discografico”, Carlo Barlozzo si è prefisso di raccontare il suo viaggio senza volersi calare  nei panni  guasconi del Barone di Münchausen sparato nello spazio su una palla di cannone.

Lui, trentenne, è partito da un centro di gravità saldo: la sua famiglia, il suo habitat. Se vogliamo è stata anche una  fuga da certezze  sociali e professionali invidiabili, di status, metti una laurea in legge. Una fuga, intendiamoci,  che significa più coraggio che paura. Sì, una laurea in legge  “110 e lode” e il primo approccio (all’altezza) con adeguata preparazione nelle aule dei tribunali. La professione forense, si sa,  a volte assurge a livelli di crudeltà e ipocrisia spettrali, da seccare anche  un animo cristallino. Come quello del tipico filone del “cantautore italiano”, basta pensare a Lucio Dalla, al quale ha dedicato “Caro Amico ti scrivo” (L’Amnno che verrà) nel primo concerto dopo essere stato scelto, a gennaio, con un voto della giuria per la stretta finale di Sanremo Social fra 1200 partecipanti.

“Un bel giorno non ce l’ha fatta più, lavorava in uno studio di Firenze che si occupava di  recupero crediti, andò a far una visita a una signora con tre figli da mantenere e non poteva pagare i 400 euro di debiti, per lui fu una ferita tremenda”, mi racconta suo padre, del tutto solidale con questa scelta, lasciando in sospeso il finale della vicenda. Si presume che quei soldi li abbia messi lui, storia deamicisiana ma non anacronistica essendo molto ricca la  famiglia, non economicamente,  bensì per onestà, impegno nel lavoro e una  compattezza invidiabile  fra tutti i vari rami e parentele.

La sua Meta è una professione per la vita (o viceversa), ovvero  un traguardo  reale, non platonico, se vogliamo  meta-fisico. Cioè senza mai indicare una destinazione e una data certa e le  tappe  (impreviste!) di questo viaggio che potrebbe, paradossalmente, diventare fra qualche anno con un po’ di fortuna una storia musicale  interessantissima. Certi suoi brani, come “Baciami” o potrebbero essere infatti l’ideale colonna musicale di una di quelle belle commedie musicali americane, tipo “Autumn in New York” e  qualche regista italiano, come Virzì,  capace di raccontare la “sfigatissima gioventù” italiana di oggi potrebbe trovare un forte messaggio musicale ascoltando il suo “Prima di parlare”.   Non aspettiamoci un viaggio musicale romanzato come  Il Milione di Marco Polo e le avventure di Giulio Verne  perché  allontanatosi dal “digesto e le pandette”, vestita la redingote nera e la tuba sul capo, l’aria di uno di quei carbonari candidi, idealisti, del Risorgimento,  Barlozzo si affida alla musica.  Elaborata attraverso le  note,  le parole e  i sentimenti quale strumento di comunicazione e di aggregazione.

Naturalmente chiedendo  l’aiuto del web, dove i suoi pezzi suscitano crescente interesse (soprattutto dopo l’exploit recente di Sanremo Social). Il web, dio pagano col  compito –  credo e soprattutto spero – di riequilibrare il potere esagerato (e mistificatore) di certi media vecchio stile fornendo la possibilità di creare un consenso alternativo, non nel senso della protesta o bohemienne del termine, ma riferita alla cosiddetta “massa critica”. Sappiamo che  in America il web registra già successi sociali e civili impensabili, per quanto invece sia ancora ingabbiata nell’Italia smarrita di oggi. Sperando  sia però solo una crisalide, e non una delle tanti prigioni del “pensiero libero” fra una nuova tassa e le cronache quotidiane del “National robbery” che alimentano una gran paura per il… peggio.

 Il richiamo alla Meta, e forse nemmeno lui lo sa, non è un punto lineare, una retta, ma una svolta.  I romani hanno infatti ripreso questo  simbolo dagli obelischi egiziani, per loro la Meta era una colonna conica che segnava il punto di  svolta di una corsa, di un punto della città, un toponimo al quale riferirsi. Per questo la nostra propria Meta spesso non è andare sulla Luna o Marte ma anche  trovarsi  anche protagonisti di viaggio in tondo. Senza sentirsi un Fantozzi del terzo millennio.Noioso, scontato?. No, niente  paura quando si torna al punto di partenza, se questo serve per arrivare dentro se stessi, capirsi, realizzarsi, stabilire una forma di dialogo utile a una comunità.  Spesso, ad esempio,  quando mi chiedono chi io sia, mi diverte rispondere: “sono un uomo che a forza di cercare il suo futuro è diventato forse l’ uomo del passato”.

 Visto e riascoltato a mesi di distanza, mi sembra di aver colto una decisa e importante crescita, chiamiamola evoluzione d’artista. Intanto  di personalità! Certamente gli ha giovato aver deposto  la pesante toga,  da qui in avanti credo che la sua  metamorfosi  procederà per gradi.   Del resto il ricordo schietto che ha dedicato in apertura del concerto a  Lucio Dalla,  lui seduto su una panchina,   mi ha ricordato i primi passi nel grande cantante-poeta che conoscevo personalmente da tantissimi anni. Ricordo che negli  inizi nessuno se lo filava nonostante i contenuti  delle sue canzoni fossero già indicatori del talento.  Il primo concerto dell’anno di “C-Barl” in quel gioiellino del teatro degli  Arrischianti di  Sarteano, dedicato alla Festa della Donna, ha reso omaggio però anche al Quartetto Cetra  di Lucia Mannucci (“Donna cosa non si fa per te…) e naturalmente alle capacità della sua band, che accompagna in tour artisti importanti, come Diego Perugini (chitarre) scritturato da Anna Oxa il quale terrà un prossimo concerto a Chianciano, oltre a Igor Abbas (chitarre), Alessandro Cristofori (tastiere, synth bass) e Gianluca Meconcelli (tastiere).  Godere la loro fiducia non è cosa da poco.

La serata è stato tutto un via vai tipico di quanto si è in viaggio, cambio di strumenti e di scena,  cose da raccontare, riflessioni, parlare dell’ultimo amore aiutati  da un’ottima musica che scalda i cuori e  offre maggior lena a ragionar su tutto. Certamente si è capita una cosa:  Carlo Barlozzo e la sua band sembrano coprire benissimo lo spazio di un teatro, molto più impegnativo di una pedana. E’ molto piaciuto anche un suo monologo sul senso di responsabilità,  e dal fondo qualcuno gli ha gridato “sei un poeta”. Applausi sinceri.

“La particolarità di questo concerto – spiega  il cantautore nel tracciare il bilancio della prima uscita ufficiale   –  è stata la rottura della  scaletta rispetto ai live precedenti. Abbiamo messo nella parte iniziale i pezzi dedicati alle donne, e sono rimasto soddisfatto ad esempio di “Io e Maria”. “L’anno che verrà” per Lucio Dalla con cui ho aperto il concerto è per me stata la parte più emozionante di tutta l’esibizione. Invece abbiamo concluso con “Sei Come Me”, solitamente il pezzo iniziale”

Il teatro ha certe regole intonate all’ ambiente raccolto che invita al transfert collettivo fra artisti e pubblico, per cui certi passaggi di scena dovrannoessere più marcati e curati. Di una cosa sono sicuro: certamente questa “La Meta live” potrebbe essere uno spettacolo interessante “a prezzo sociale”per i molti teatrini italiani (e lancio un appello all’Assessorato Cultura della Regione, perché intanto un tour toscano sarebbe già un primo passo…), che desiderano aprirsi ai giovani. Magari si potrebbe anche pensare a uno spettacolo interattivo, con un dopo-concerto dedicato alle domande del pubblico. La musica è un grande mezzo di espressione, leggendo certi testi della nouvelle vague  italiana dove Barlozzo ha un posto, si capisce che  si è  quasi sostituita alla poesia. Vale quindi quanto sosteneva con la sua ironia  il greco Aristofane. “A che serve la poesia?”, si chiedeva rispondendo: “Serve a salvare la città”.

encampana@alice.it

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