Un'altra prova dell'attore in veste di regista
di Giulia Tacchetti
SIENA. Se lo spettatore pensa di andare a vedere una remake all’italiana del film del 1975 di Milos Forman con l’indimenticabile Jack Nicholson, si sbaglia, soprattutto perché i tempi sono cambiati rispetto agli anni Settanta, quando forte era la contestazione in tutti i campi del vivere sociale, tra cui la denuncia contro i trattamenti a volte disumani praticati nei manicomi. Nel 1978 con la legge Basaglia i manicomi furono chiusi in Italia e sostituiti da servizi di igiene mentale pubblici. L’adattamento di Maurizio de Giovanni e la regia di Alessandro Gassman seguono l’adattamento scenico di Dale Wasserman del 1971, tratto dal romanzo di Ken Kesey, su cui si basò il film di Forman, ma è cambiata l’epoca, siamo nel 1982, ed il contesto. Questo inizialmente crea nello spettatore uno sconcerto per la discrepanza con la situazione odierna.
La vicenda si svolge nel manicomio di Aversa e gli ospedali psichiatrici così descritti non esistono più. Quindi possiamo considerare la storia narrata come una metafora di una più contemporanea e più vicina anche nello spazio, Aversa e non una città americana. Temi come l’intolleranza del potere, i meccanismi repressivi della società, la violenza sessuale sono purtroppo sempre attuali. Significativa la dichiarazione di un paziente, che spinge Dario, il giovane delinquente capitato quasi per caso nella struttura, ad andare via da lì: -Noi siamo qui per nostra volontà- . E’ una libera scelta perché i pazienti hanno “paura” del mondo esterno e la paura è così forte da preferire di essere oppressi da Suor Lucia (la brava Elisabetta Valgoi).
In questa rappresentazione bisogna leggere non tanto il tema della malattia mentale e come viene curata (l’elettroshock, la lobotomia), ma una difesa della libertà e dei diritti dell’uomo. Così Dario diventa un archetipo ed il suo scontro con il potere costituito è uno scontro che non conosce limiti di tempo. Ma anche l’angoscia di questa nostra esistenza, così piena di orrore e violenza.
Gli attori risultano padroni dei loro ruoli ed offrono al pubblico una interpretazione naturale e quindi molto piacevole, aiutati dal dialetto napoletano. Sapiente la regia di Gassman, con piccole concessioni alla facile risata (il goal di Tardelli). Adatte le soluzioni scenografiche di Gianluca Amodio, come il velo posto al boccascena, su cui si proiettano le videografie di Marco Schiavoni. Di grande effetto il finale, quando Ramon decide di infrangere il vetro e fuggire da lì. Riuscite le musiche di Pivio e Aldo De Scalzi.