VIAREGGI0 – “Constatiamo che anche quest’annata è stata fertile e tale da rinnovare una meritata fiducia nel futuro della produzione letteraria italiana”, questa la premessa della giuria, coordinata da Rosanna Bettarini, la filologa fiorentina presidentessa dal 2006 del Premio Viareggio-Repaci, che ha sancito la vittoria dell’edizione n.80 del prestigioso concorso letterario a Edith Bruck (narrativa), Ennio Cavalli (poesia) e Adriano Prosperi (saggistica)
La Giuria ha preso in considerazione anche quest’anno una gran messe di libri e ha segnalato circa 150 opere di Narrativa, Poesia e Saggistica, quasi tutto il meglio di quanto è uscito in libreria. Ha confrontato e scelto i libri ritenuti più validi, avendo presente, secondo tradizione, il nesso fondante tra cultura e società, tra scrittore e lettore, tra segretezza della scrittura e solitudine della lettura: cosa che fa di questo nostro Premio così antico un esempio di pura contemporaneità.
Nella Narrativa le opere hanno offerto motivi di interrogazione e dibattito sull’attuale momento dei narratori in Italia; ogni libro ha indicato un diverso, interessante percorso con caratteristiche proprie, segno d’una ricerca di scrittura avviata in più direzioni, particolarmente notabile in scrittori e scrittrici per i quali l’italiano è una seconda lingua-madre. L’animata discussione si è ristretta alla terna finale, che sintetizza di per sé tre modi diversamente sensibili e attuali di interpretare il ‘genere’ romanzo.
Nella sezione Poesia la Giuria si è trovata ad assolvere un compito critico non lieve, dato il notevole valore e il diverso colore stilistico delle opere finaliste, ivi incluse molte di quelle che non sono entrate nell’ultima rosa nella quale figurava anche un autore senese, Massimo Lippi, con Exilium. La discussione è stata particolarmente vivace e consona alla tradizione del ‘Viareggio’ che ha avuto sempre un occhio di riguardo per la Poesia, almeno fin da quando, ancora Cenerentola dell’editoria italiana, riapparve nel dopoguerra con l’alloro assegnato nel 1946 al Canzoniere di Anche quest’anno la Saggistica si è invece distinta per un gran numero di proposte straordinariamente affascinanti. La Giuria ha notato saggisti così raffinati nei vari campi della ricerca che spesso mal si distinguono dai narratori per la bellezza della scrittura, l’arguzia dell’argomentazione, la novità dell’impianto e dei risultati, adatti ad ottenere l’interesse e il consenso di un largo pubblico.
.Edith Bruck vincitrice per la narrativa con “Quanta stella c’è nel cielo”, Garzanti, è una scrittrice e poetessa naturalizzata italiana. Nata in Ungheria nel 1932 da una poverissima famiglia ebrea, uscita da campo di concentramento si stabilisce per alcuni anni in Israele e dal 1954 in Italia dove inizia un lungo sodalizio sentimentale ed artistico con il poeta e regista Nelo Risi.
«Quanta stella c’è nel cielo» è il primo verso di una ballata amara del giovane Petöfi, il grande poeta ungherese. Quei versi sono tra le poche cose che Anita porta con sé, insieme a molti ricordi laceranti. Anita non ha ancora 16 anni, è una sopravvissuta ai campi. Bella, sensibile, con l’anima tatuata dalle prove della vita. Sta fuggendo da un orfanotrofio per andare a vivere a casa di una zia che ha affidato al giovane cognato, Eli, di accompagnarla nel viaggio dal confine in Cecoslovacchia, dove si ritrova clandestina in un mondo ancora in subbuglio. Ma tutto questo a Eli non interessa: lo attira solo il corpo di quella ragazza e già sul treno, affollato di una moltitudine randagia, inizia a insidiarla in un gioco cinico e crudele.
Si tratta di un romanzo dai risvolti inattesi. Racconta come si possa tornare dalla morte alla vita. E come, a volte, il cammino per ritrovare la speranza possa seguire trame imprevedibili.
Ennio Cavalli, Libro Grosso, Aragno, il vincitore per la poesia è nato a Forlì nel 1947, inviato speciale e caporedattore del Giornale Radio Rai, vive a Roma. Tra le sue raccolte di versi, Naja tripudians (prefazione di A.M. Ripellino, 1976), Po e Sia (1991, in cinquina al premio Viareggio), Libro di storia e di grilli (1996, premio Montale), Libro di scienza e di nani (prefazione di R. Roversi, 1999), Bambini e clandestini ( 2002, in cinquina al Viareggio e premio Pisa) e, nel 2008, finalista al Premio Viareggio con L’imperfetto del lutto, (Aragno). Definisce questa opera che riunisce alcune sue opere «Un viaggio dell’ascolto per vicoli e foreste, con qualche fermata nel deserto». «Nel primo dei miei libri – scrive l’Autore – per storia intendo i momenti dell’anima, gli estri sfrontati, gli azzardi collettivi che ci hanno resi così come siamo. Nel secondo, scienza sta anche per coscienza, fisica si allarga a metafisica. Mentre Libro di sillabe è un abbecedario di raduni, riporta a valle i frutti del ghiacciaio: parole e rimandi, radici e strappi».
Per la Saggistica è stato premiato Adriano Prosperi, Giustizia bendata, Einaudi Nato a Cerreto Guidi, 21 agosto 1939, storico italiano, ha insegnato Storia moderna presso l'Università della Calabria, di Bologna e Pisa. Dal 2002 insegna Storia dell'età della Riforma e della Controriforma presso alla Normale Superiore di Pisa. I suoi principali interessi di ricerca riguardano la storia dell'Inquisizione romana, la storia dei movimenti ereticali nell'Italia del Cinquecento, la storia delle culture e delle mentalità tra Medioevo ed età moderna. Membro dell'Accademia Nazionale dei Lincei., editorialista de “La Repubblica”; ha collaborato con le pagine culturali del “Corriere della Sera” e de “Il Sole 24 Ore”.
La benda sugli occhi, un attributo dell’immagine simbolica della giustizia come donna, è al centro del suo percorso disegnato. Se in una celebre poesia di Edgar Lee Masters se ne fa uso per criticare la cecità delle corti e l’arbitrarietà delle sentenze, la benda appare nell’iconografia ufficiale la garanzia dell’imparzialità e incorruttibilità dei giudici. Viene qui ricostruito l’atto di nascita nel 1494 e la rapida diffusione della Riforma protestante e la fortuna successiva che non toccò però l’Italia. Ma nel mondo contemporaneo la spettacolarizzazione di crimini e processi si accompagna a una crisi della giustizia che sembra destinata a rendere nuovamente attuale e problematico il simbolo della benda.
Ermanno Olmi ha vinto invece il Premio Internazionale Viareggio-Versilia.
“Quando nel lontano 1961 Il film Il posto fece conoscere al pubblico il nome di Emanno Olmi, pochi intuirono – questa la dedica di Piero Gelli, giurato del premio – che era nato un grande regista: quel preciso garbato struggente melanconico minimalismo neorealista si inseriva in una corrente in esaurimento dopo i capolavori di Rossellini e De Sica e l’esordio antirealista di Pasolini (Accattone 1960). Ma ci vorrà l’ispirato poetico capolavoro L’albero degli zoccoli a far conoscere Olmi a livello internazionale.” Il regista ha girato oltre venti film-lungometraggi per non parlare dei numerosi e importanti documentari, tra cui ricordo il recentissimo Terra Madre, sul problema mondiale dell’alimentazione In tutta la sua opera è presenza costante il tema sociale e universale della pace e del diritto di tutti gli uomini, soprattutto dei più deboli, alla dignità della vita”
Da parte sua, Olmi regista-pensatore-narratore ha ringraziato con una lettera alla presidentessa Rosanna Bettarini nel quale ha scritto: “Se mi chiedete cosa ho fatto per meritarmi questo premio, non so cosa rispondere. Non ho mai posseduto un’arma: ma sono del tutto consapevole che questo non significa essere “uomo di pace” “Ogni atto, anche minimo, dei nostri comportamenti quotidiani ha concluso – può essere un atto di pace. La Pace non sarà vera Pace finché questa parola rimarrà soltanto un’icona concettuale o una promessa di elevati principi.La Pace è prima di tutto una buona disposizione d’animo verso tutti coloro che vivono questo tempo insieme a noi.
La Giuria ha preso in considerazione anche quest’anno una gran messe di libri e ha segnalato circa 150 opere di Narrativa, Poesia e Saggistica, quasi tutto il meglio di quanto è uscito in libreria. Ha confrontato e scelto i libri ritenuti più validi, avendo presente, secondo tradizione, il nesso fondante tra cultura e società, tra scrittore e lettore, tra segretezza della scrittura e solitudine della lettura: cosa che fa di questo nostro Premio così antico un esempio di pura contemporaneità.
Nella Narrativa le opere hanno offerto motivi di interrogazione e dibattito sull’attuale momento dei narratori in Italia; ogni libro ha indicato un diverso, interessante percorso con caratteristiche proprie, segno d’una ricerca di scrittura avviata in più direzioni, particolarmente notabile in scrittori e scrittrici per i quali l’italiano è una seconda lingua-madre. L’animata discussione si è ristretta alla terna finale, che sintetizza di per sé tre modi diversamente sensibili e attuali di interpretare il ‘genere’ romanzo.
Nella sezione Poesia la Giuria si è trovata ad assolvere un compito critico non lieve, dato il notevole valore e il diverso colore stilistico delle opere finaliste, ivi incluse molte di quelle che non sono entrate nell’ultima rosa nella quale figurava anche un autore senese, Massimo Lippi, con Exilium. La discussione è stata particolarmente vivace e consona alla tradizione del ‘Viareggio’ che ha avuto sempre un occhio di riguardo per la Poesia, almeno fin da quando, ancora Cenerentola dell’editoria italiana, riapparve nel dopoguerra con l’alloro assegnato nel 1946 al Canzoniere di Anche quest’anno la Saggistica si è invece distinta per un gran numero di proposte straordinariamente affascinanti. La Giuria ha notato saggisti così raffinati nei vari campi della ricerca che spesso mal si distinguono dai narratori per la bellezza della scrittura, l’arguzia dell’argomentazione, la novità dell’impianto e dei risultati, adatti ad ottenere l’interesse e il consenso di un largo pubblico.
.Edith Bruck vincitrice per la narrativa con “Quanta stella c’è nel cielo”, Garzanti, è una scrittrice e poetessa naturalizzata italiana. Nata in Ungheria nel 1932 da una poverissima famiglia ebrea, uscita da campo di concentramento si stabilisce per alcuni anni in Israele e dal 1954 in Italia dove inizia un lungo sodalizio sentimentale ed artistico con il poeta e regista Nelo Risi.
«Quanta stella c’è nel cielo» è il primo verso di una ballata amara del giovane Petöfi, il grande poeta ungherese. Quei versi sono tra le poche cose che Anita porta con sé, insieme a molti ricordi laceranti. Anita non ha ancora 16 anni, è una sopravvissuta ai campi. Bella, sensibile, con l’anima tatuata dalle prove della vita. Sta fuggendo da un orfanotrofio per andare a vivere a casa di una zia che ha affidato al giovane cognato, Eli, di accompagnarla nel viaggio dal confine in Cecoslovacchia, dove si ritrova clandestina in un mondo ancora in subbuglio. Ma tutto questo a Eli non interessa: lo attira solo il corpo di quella ragazza e già sul treno, affollato di una moltitudine randagia, inizia a insidiarla in un gioco cinico e crudele.
Si tratta di un romanzo dai risvolti inattesi. Racconta come si possa tornare dalla morte alla vita. E come, a volte, il cammino per ritrovare la speranza possa seguire trame imprevedibili.
Ennio Cavalli, Libro Grosso, Aragno, il vincitore per la poesia è nato a Forlì nel 1947, inviato speciale e caporedattore del Giornale Radio Rai, vive a Roma. Tra le sue raccolte di versi, Naja tripudians (prefazione di A.M. Ripellino, 1976), Po e Sia (1991, in cinquina al premio Viareggio), Libro di storia e di grilli (1996, premio Montale), Libro di scienza e di nani (prefazione di R. Roversi, 1999), Bambini e clandestini ( 2002, in cinquina al Viareggio e premio Pisa) e, nel 2008, finalista al Premio Viareggio con L’imperfetto del lutto, (Aragno). Definisce questa opera che riunisce alcune sue opere «Un viaggio dell’ascolto per vicoli e foreste, con qualche fermata nel deserto». «Nel primo dei miei libri – scrive l’Autore – per storia intendo i momenti dell’anima, gli estri sfrontati, gli azzardi collettivi che ci hanno resi così come siamo. Nel secondo, scienza sta anche per coscienza, fisica si allarga a metafisica. Mentre Libro di sillabe è un abbecedario di raduni, riporta a valle i frutti del ghiacciaio: parole e rimandi, radici e strappi».
Per la Saggistica è stato premiato Adriano Prosperi, Giustizia bendata, Einaudi Nato a Cerreto Guidi, 21 agosto 1939, storico italiano, ha insegnato Storia moderna presso l'Università della Calabria, di Bologna e Pisa. Dal 2002 insegna Storia dell'età della Riforma e della Controriforma presso alla Normale Superiore di Pisa. I suoi principali interessi di ricerca riguardano la storia dell'Inquisizione romana, la storia dei movimenti ereticali nell'Italia del Cinquecento, la storia delle culture e delle mentalità tra Medioevo ed età moderna. Membro dell'Accademia Nazionale dei Lincei., editorialista de “La Repubblica”; ha collaborato con le pagine culturali del “Corriere della Sera” e de “Il Sole 24 Ore”.
La benda sugli occhi, un attributo dell’immagine simbolica della giustizia come donna, è al centro del suo percorso disegnato. Se in una celebre poesia di Edgar Lee Masters se ne fa uso per criticare la cecità delle corti e l’arbitrarietà delle sentenze, la benda appare nell’iconografia ufficiale la garanzia dell’imparzialità e incorruttibilità dei giudici. Viene qui ricostruito l’atto di nascita nel 1494 e la rapida diffusione della Riforma protestante e la fortuna successiva che non toccò però l’Italia. Ma nel mondo contemporaneo la spettacolarizzazione di crimini e processi si accompagna a una crisi della giustizia che sembra destinata a rendere nuovamente attuale e problematico il simbolo della benda.
Ermanno Olmi ha vinto invece il Premio Internazionale Viareggio-Versilia.
“Quando nel lontano 1961 Il film Il posto fece conoscere al pubblico il nome di Emanno Olmi, pochi intuirono – questa la dedica di Piero Gelli, giurato del premio – che era nato un grande regista: quel preciso garbato struggente melanconico minimalismo neorealista si inseriva in una corrente in esaurimento dopo i capolavori di Rossellini e De Sica e l’esordio antirealista di Pasolini (Accattone 1960). Ma ci vorrà l’ispirato poetico capolavoro L’albero degli zoccoli a far conoscere Olmi a livello internazionale.” Il regista ha girato oltre venti film-lungometraggi per non parlare dei numerosi e importanti documentari, tra cui ricordo il recentissimo Terra Madre, sul problema mondiale dell’alimentazione In tutta la sua opera è presenza costante il tema sociale e universale della pace e del diritto di tutti gli uomini, soprattutto dei più deboli, alla dignità della vita”
Da parte sua, Olmi regista-pensatore-narratore ha ringraziato con una lettera alla presidentessa Rosanna Bettarini nel quale ha scritto: “Se mi chiedete cosa ho fatto per meritarmi questo premio, non so cosa rispondere. Non ho mai posseduto un’arma: ma sono del tutto consapevole che questo non significa essere “uomo di pace” “Ogni atto, anche minimo, dei nostri comportamenti quotidiani ha concluso – può essere un atto di pace. La Pace non sarà vera Pace finché questa parola rimarrà soltanto un’icona concettuale o una promessa di elevati principi.La Pace è prima di tutto una buona disposizione d’animo verso tutti coloro che vivono questo tempo insieme a noi.