
di Giulia Tacchetti
SIENA. Ieri 26 marzo, in seconda serata, “Pour un oui ou pour non” di Nathalie Sarraute (1982), regia-scene-costumi di Pier Luigi Pizzi. Pièce di settanta minuti circa con al centro la forza (in questo caso) distruttrice della parola. Un uomo (Franco Branciaroli), non identificato con un nome, in quanto non è questo a dargli un’identità, si reca dall’amico (Umberto Orsini), per chiedergli spiegazioni del suo allontanamento. Il dialogo inizia con lentezza per poi farsi più serrato. I due amici scoprono che sono stati i silenzi tra le parole dette, ma soprattutto le ambiguità delle intonazioni a contaminare la loro comunicazione, aprendola a più significati. Ecco che sulla parete nera del salotto, usata come una lavagna, Orsini, saltando sul tavolo per raggiungerla meglio, scrive con un gesso la parola “degnazione”. Con la forza della parola fa capire all’amico quanto sia stato sempre ferito dalla sua condiscendenza, sentendosi trattato dall’alto al basso. E gli ricorda come nel passato avesse commentato un suo atteggiamento: “Ah! Beeene…è così”. E’ questa intonazione che mette in evidenza la “degnazione” e ha fatto crollare l’amicizia. Le parole “non dette” o le intonazioni ambigue provocano malintesi e distruggono una vecchia amicizia (“Parole che si nascondono, che non ci sono state”). Ecco che il dialogo diventa più esplicativo. Branciaroli risponde: “E’ per questo niente che ti sei allontanato?”. La risposta viene dal titolo della pièce “Pour un oui ou pour un non”, che è un modo di dire, “per un sì o per un no”, insomma per un niente. Branciaroli a sua volta sulla parete-lavagna scrive “geloso”, opponendo alle precedenti accuse una conclusione che provoca ulteriori lacerazioni nell’altro “tu eri geloso”. Oggi potremmo dire che è quello che capita alla maggior parte dei matrimoni o unioni in genere.
Difficile dire chi dei due sia più bravo. Sguardi, gesti, movimenti, battute palesano che il palcoscenico è di loro proprietà. Rappresentano sensibilità diverse: Orsini dà voce ad un uomo tormentato da dubbi ed inquietudini, puntiglioso; Branciaroli rappresenta una personalità sicura (“Non vedo l’ora di tornarmene a casa mia dove è tutto stabile, solido”), conciliante, indulgente, ma anche disorientata nel suo bisogno di chiarimento. Il confronto verbale e lo scambio di battute diventa sempre più veloce e lucido, fino a giungere ad un finale inaspettato e tragico.
Il regista Pier Luigi Pizzi firma anche la scena, veramente bella, in cui predomina il bianco delle librerie e dei libri, delle lampade, il nero delle pareti, il rosso del divano. Unico legame con il mondo esterno una finestra.
Purtroppo ieri sera, a spettacolo inoltrato, Orsini ha chiesto un minuto di pausa, perché non si sentiva bene. Abbiamo temuto qualcosa di inaspettatamente grave quando si è chiuso il sipario. Perciò con grande sollievo abbiamo accolto il riapparire in scena dell’attore dopo poco, che ha ripreso la perfomance come se nulla fosse accaduto. Lo può fare solo chi ha una grande professionalità. E di questo lo dobbiamo ringraziare.
Proprio per la bravura dei due attori, la presenza di un importante regista, la lunga assenza di Orsini da Siena forse avremmo desiderato vedere in scena un testo diverso da quello della francese Nathalie Sarraute, che, pur apprezzato perchè raffinato e moderno nella tematica, ricercato nei dialoghi, percepiamo come una leggera variazione nelle prove attoriali, a cui ormai da tempo ci ha abituati Orsini con le sue interpretazioni e così Branciaroli. Si ricorda la loro interpretazione in “Otello” di Lavia. Non ce ne voglia Orsini se ieri sera a teatro il pubblico era ridotto, forse anche a causa di una modesta pubblicità da parte degli uffici preposti.