Un segno dello splendore economico e politico della città
di Giulia Tacchetti
SIENA. In un periodo di splendore economico e politico per la città il governo dei Nove incaricava Simone Martini di dipingere una Vergine in trono circondata da angeli e santi per la Sala del Mappamondo nel Palazzo Pubblico, terminata nel giugno del 1315. Come poteva Siena, serbatoio iconografico nel mondo, non ricordare un evento così importante? Ieri, 15 giugno, la città ha voluto festeggiare con due importanti appuntamenti proprio nella Sala del Mappamondo. Il primo, la mattina, presentava gli oggetti d’arte e i gioielli di Diego Percossi Papi, in mostra fino al 15 settembre; il secondo consisteva in due conferenze , tenute da Gabriella Piccinni e Alessandro Bagnoli.
La mostra di Diego Percossi Papi parte dal Lussemburgo, ospitata nell’Abbazia di Neumunster per celebrare i 700 anni della morte di Arrigo VII, avvenuta nel 1313 a Buonconvento durante il suo viaggio in Italia ed approda a Siena nella Sala del Mappamondo, ai piedi della Maestà. L’artista alle preziose miniature in grado di rendere il legame tra l’imperatore e il territorio senese aggiunge gioielli ed oggetti con i simboli ed i colori delle contrade e la pregiata miniatura ad olio su rame della Maestà di Simone Martini. Cosa lega questo orafo romano e la nostra città? Indubbiamente è proprio la mostra in Lussemburgo a creare una relazione tra Percossi Papi e Siena, attraverso quelle opere che rappresentano il nostro mondo e quello delle Contrade. Siena e la sua cultura sono al centro della produzione artistica del maestro orafo attraverso la storia, il colore, la passione; ori, contrade, Medioevo sono il collante tra artista e città.
La conferenza pomeridiana tenuta da Gabriella Piccinni presenta “Siena negli anni della Maestà”. Siena, sconfitta a Colle di Val d’Elsa nel 1269, fu colpita dalla scomunica del Papa, che ebbe profonde ripercussioni sulla vita economica e politica della città. Le prime provocarono il fallimento della “Tavola dei Bonsignori”, perché la scomunica concedeva ai debitori di non pagare; le seconde fecero passare i ricchi mercanti senesi al guelfismo, perché incontravano difficoltà nei loro traffici per gli interdetti papali. Nel 1277 la riforma antimagnatizia (alcune famiglie aristocratiche erano ritenute responsabili delle tensioni interne) segnò un momento importante nella città per la presa del potere da parte della ricca borghesia. Il governo dei Nove rimase stabile dal 1287 fino al 1355. Nella sala della Maestà stava il governo con il Podestà ed i consiglieri. In un primo momento si riunivano nella Sala del Mappamondo, poi, per problemi di numero, nella sala dove è ora il Teatro dei Rinnovati. Con il governo dei Nove iniziò il periodo aureo della città e vennero commissionate grandi opere: la Maestà a Simone Martini (1315) e gli affreschi del Buono e Cattivo Governo ad Ambrogio Lorenzetti (1338-40). Il clero, a sua volta, incaricò Duccio di Buoninsegna di realizzare una Maestà da porre in Duomo. La collocazione della Maestà nella Sala del Mappamondo aveva un preciso fine: il governo parlava per bocca della Madonna. E’ una Madonna partigiana, che protegge la parte guelfa e racconta le lotte politiche (cartigli in basso con versi).
Segue la conferenza di Alessandro Bagnoli, che ha condotto il restauro dell’opera circa venti anni fa: “La Maestà di Simone Martini vertice della pittura gotica senese”. Per lui il restauro è stato uno strumento formidabile di conoscenza, e anche di rilettura dell’opera, in quanto alcune figure, quasi del tutto annerite, sono tornate alla luce (come la figura di S. Pietro alla nostra destra). Il dipinto risulta polimaterico, vedi le cornici geometriche che incorniciano l’opera, i vetri che arricchiscono il trono, di chiara origine francese, il cristallo di rocca, fermaglio della veste della Madonna, le punzonature che mettono in rilievo le aureole d’oro dei santi. Bagnoli ci tiene a sottolineare che la grande fascia di finto porfido in basso costituisce una parte essenziale del dipinto. La zoccolatura finge l’effetto di una parete che vuole essere un palcoscenico, in quanto rappresenta una scena. Interessante il paragone tra la Maestà di Duccio, conclusa pochi anni prima (1308-1311), figurazione muta dall’oro abbagliante a simbolo del paradiso, che l’occhio non può guardare e la Maestà di Simone , la cui raffigurazione teatrale parla. Le scritte non sono didascalie, ma un dialogo: la Madonna offre comportamenti di etica politica..