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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Mozart: la potenza del suo amore, il suo tangibile spirito. In una messa

di Gianni Basi
 

MICAT IN VERTICE – Ven. 18 Teatro dei Rozzi h.21– Grande Messa di Mozart

 

SIENA. Che bello. Imperversano i Concerti di Natale quest’anno a Siena e nella provincia, con Mozart ovunque alla grande ed anche, alle ore 21 di oggi (17 dicembre), al Teatro dei Rinnovati tra i brani in concerto natalizio ad opera dell’Orchestra del Rinaldo Franci.
Ma fra le tante partiture mozartiane e soprattutto le tante messe che l’Accademia Chigiana poteva proporre per la serata di Micat in Vertice di domani (18 dicembre), dedicata giustappunto al “Concerto di Natale”, la Messa KV 427 in do minore, rappresenta, sicuramente, il momento più vicino allo spirito universale della natività.
Infatti, alle ore 21 al Teatro dei Rozzi (e si ricordi in abbonamento promozionale per i giovani) andrà in scena l’unico capolavoro del sacro che contenga spiccatamente i tratti di un’anima sinfonica e operistica insieme sapendo, così, trasmettere non solo il senso del raccoglimento ma anche la festa, il grido di lode all’avvento del Creatore e pertanto quella particolare gioia contagiosa che nel Natale vive in ogni angolo del mondo.
Questa messa di Mozart, la più brillante delle sue precedenti e la più diversa fra tutte quelle composte nel classico, fu scritta in voto al superamento della malattia in cui versava la moglie Costanze e simboleggia un vero e proprio desiderio di vita.
Il Mozart notoriamente donnaiolo, magistralmente caratterizzato nell’ “Amadeus” di Milos Forman, poteva folleggiare con le sue amanti ma, un vero atto d’amore, lo dedicava solo alla donna che sarebbe diventata la sua compagna. Costanze stessa, nella prima esecuzione della messa avvenuta nell’ottobre del 1783 nella chiesa di San Pietro a Salisburgo, fece parte del coro mandando Mozart in visibilio. Una messa detta “Grande” pur se in realtà è la più piccola con la sua durata stretta di un’ora, condensando però in quell’oretta il meglio di quanto nel cuore possa avvenire percependo l’elevazione al divino.
Prendiamo, nel “Credo”, tra archi e fiati che lo introducono, la bellezza delle parole. Tratte dai testi sacri, avvincono in quel “Credo in un solo Dio, padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutto il visibile e l’invisibile”. Questo “invisibile” è splendido, e vero.
Il coro, in comunione con la musica, ne canta la maestà e fa palpitare nell’intuire l’immagine anche non vista della grandiosità del creato, tra amore, gratitudine, percezione dell’immensità prodigiosa. Eppure, il “Credo” stesso è assai breve ed anzi è una parte incompiuta, e l’”Agnus Dei” Mozart lo escluse proprio, indispettito dei contrasti con Hyeronimus Colloredo, bizzoso arcivescovo che gli impedì di presentare la messa nella cattedrale salisburghese perché tacciata di troppe licenze barocche e snobbando altezzosamente la forte e intensa religiosità che vi scorre dentro. Quando, invece, l’opera di Mozart, nel suo insieme espressivo e così vicino alla gente comune, dà indubbiamente un gran senso di compiuto oltre che di trascinante all’ascolto.
Il “Kyrie” d’apertura è di ampia solennità e respiro, l’assolo della soprano si unisce come un tocco di miele all’imperiosità del coro, il crescendo in tonalità sempre più alte sembra una scalata verso il Paradiso e la conclusione, quasi sussurrata, sa riportare dalle vertigini ai nostri familiari, meditativi piedi per terra. Portentosa poi, oltre che la più avvincente, l’aria della seconda parte del “Credo”, l’”Et incarnatus est”, con lo sfoggio di tutto il campionario vocale che una soprano possa concedersi. Da ovazione, e se incontenibile che lo sia.
Tra i vari brani del “Gloria”, che precede il “Credo”, si tocca a piene mani la potenza esplosiva della gioia orchestrale, ali d’energia pura nel suo innalzarsi quasi con un incedere di marcia, e il coro ad accompagnare a volte in mormorio sommesso, come per non disturbare. Nel “Sanctus”, e poi a ruota nel “Benedictus”, gli esaltanti acuti delle quattro voci si sublimano in una incantevole fusione con coro e orchestra, a sigillo del tutto. Già, le voci. Un perno inossidabile su cui ruota la “Grande Messa”.
Al canto soprano Claudia Barainsky e Lisa Milne, quindi Thomas Hobbs in veste di tenore e Simon Kirkbride in quella di baritono. Giovani, possenti nelle ugole e dolci quando occorre, i quattro cantanti hanno già calcato le scene più importanti del repertorio operistico, concertistico, oratoriale sia antico che contemporaneo.
La Barainsky – occhi azzurri che più azzurri non si può – è artista versatile di scuola berlinese con frequenze puntuali al celebre Festival di Bayreuth, vanta interpretazioni specializzate fra cui una splendida “Musetta” nella Bohème, è prima donna sontuosa nel Wozzeck di Berg e in varie opere di Mozart con assidui partner orchestrali quali Metha, Herreweghe e Daniel Harding, e nel 2007 ha ottenuto l’ambito Critica Record come miglior cantante dell’anno. La Lisa Milne, voce sia da soprano che da contralto fra le più acclamate della Scottish Academy of Music, debutta nell’Elisir d’Amore e vince nel ’96 il John Christie Award, nel ’98 trionfa alla Wigmore Hall e al Festival di Edimburgo e diventa una colonna della Scottish Chamber Orchestra dividendo i suoi impegni operistici con incisioni di spicco non solo di brani lirici ma anche di canzoni tradizionali scozzesi e irlandesi. Hobbs e Kirkbirde, dal… canto loro, vantano un numero impressionante di ruoli operistici e nascono entrambi da quella portentosa fucina di voci che è l’”RCM”, il londinese Royal College of Music. Infine, coro, orchestra e i loro direttori, veri fondamenti dell’ascolto appassionante dell’intera “Grande Messa”, per alcuni semplicemente “grandissima”, ed anche per noi. Nomi che nel panorama sinfonico e operistico hanno – o stanno acquistando come vedremo – celebrità assoluta.
L’Orchestra Regionale della Toscana è ormai un’etichetta di perfezione strumentale, sonorità limpide, maestosità d’esecuzione, doti ampiamente riconosciute in campo internazionale.
Il veterano direttore Max Brüggen, mago del flauto dolce barocco nonché uomo di cultura, docente. oratore insigne e fondatore nell’81 di una formazione – l’Orchestra del XVIII Secolo – costituita da 60 elementi provenienti da ogni Paese che suonano strumenti prevalentemente settecenteschi, è dagli anni ’50 il personaggio più eminente della musica olandese nel mondo. A lui si affianca il maestro del coro Christoph Siebert, un portento all’organo e nel canto sacro, direttore in Germania di numerosi cori da camera e collaboratore stretto, negli anni, del Collegium Vocale Gent di Philippe Herreweghe. Ma a bruciare alla grande le tappe dei – per così dire – neofiti, si impone, dal luglio scorso, l’istituzione di una corale senese che è in questo momento la più bella realtà di cui può farsi vanto l’Accademia Chigiana. Fortemente voluta, la formazione che vive dell’accorpamento fra i componenti del “Collegium Vocale Gent” e quelli dell’ ”Accademia Chigiana Siena” è assurta in soli cinque mesi ad una delle massime corali europee, richiestissima nei consessi concertistici dei festival più importanti e fucina essa stessa di formazione e lancio di voci talentuose. Un altro tassello che si aggiunge a quelli prodotti e cercati nel lungo corso dell’opera certosina e concreta dell’Accademia, cui ora si attende la costituzione, ormai più che legittima, di una grande orchestra sinfonica. Una ipotetica “G.O.C.” ad esempio, da leggere “Grande Orchestra Chigiana”. Noi la buttiamo là. E segnalando la notizia appena pervenutaci di un giovane violinista cinese, Shen-Yng Qian, vincitore della 14^ edizione del Concorso Alfredo Casella, altra perla chigiana, giriamo ai lettori e a quanti fanno e amano la musica l’augurio di questa redazione per un Natale più buono e per un Anno Nuovo più bello. Affinché perlomeno qualche segreto desiderio, per tutti, non resti eternamente tale ed abbia la gentilezza di realizzarsi. A cominciare dal dono di questo Concerto.

 

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