L'impronta di George Clooney nel film
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di Paola Dei
SIENA. Direttamente dalla Berlinale, dal 13 febbraio al Cinema Metropolitan di Siena, l’ultima pellicola diretta e interpretata da George Clooney con il titolo Monuments Men, ispirata ad una storia vera e tratta dal testo di Robert M. Edsel e Bret Witter.
Lo stesso Edsel afferma che l’ispirazione per il libro l’ha avuta a Firenze camminando su Ponte Vecchio, l’unico ponte risparmiato dai nazisti durante la loro fuga nel 1944. In seguito a questo suo viaggio a Firenze iniziò a chiedersi come avessero fatto opere d’arte di ineguagliabile bellezza a salvarsi dallo scempio della guerra. La risposta la trovò in Monuments, Fine Arts and Archives Group (MFAA), la sezione Monumenti, belle arti e archivi dell’esercito anglo-americano, i cui membri raggiunsero il fronte per cercare di salvare tutto ciò che poteva essere salvato.
Clooney ha voluto ripercorrere con una impronta personale quei momenti con la sua quinta pellicola da regista distribuita da 20th Century Fox, nella quale riunisce un cast strabiliante: Matt Damon, Cate Blanchett, Bill Murray, John Goodman, Jean Dujardin, Hugh Bonneville, Bob Balaban, Dimitri Leonidas…Un baldanzoso plotone che porta sul grande schermo una storia vera, arricchita di quell’impronta hollywoodiana che ricorda altri Film storici a cavallo fra fantasia e realtà. Clooney ed Heslov, che lo ha già accompagnato in altre produzioni e collaborato alla sceneggiatura di Good Night, and Good Luck. (2005) e Le Idi di marzo (2011), ha letto Monuments Men di Robert M. Edsel e Bret Witter e lo ha segnalato a George, che subito ha accolto l’idea, ed entrambi per il loro Film hanno pensato a vecchi film di guerra angloamericani tipo La grande fuga (1963), Quella sporca dozzina (1967), I cannoni di Navarone (1961), Il ponte sul fiume Kwai (1957). Hanno così messo insieme un grande cast di attori contemporanei adatti a quel genere di storia, che pur parlando di guerra non ne avesse le connotazioni, quanto piuttosto assumesse il senso di “un film sul più grande furto della storia”, come ha sostenuto lo stesso Clooney. Dopo l’aspetto cinico degli ultimi film, “avevamo voglia di girare un film che fosse più diretto, vecchio stile e con una prospettiva positiva”. Le musiche scanzonate di Alexandre Desplat accompagnano un racconto misto di ironia e drammaticità in un equilibrio a volte piacevole, altre troppo precario.
George Clooney nei panni di Frank Stokes, un esperto professore amante dell’arte, è un figura positiva che guida un gruppo di sette quasi-soldati non più giovanissimi composto da direttori di museo, curatori, artisti, architetti, storici dell’arte, con l’intento di recuperare capolavori trafugati dal soldati tedeschi e restituirli ai legittimi proprietari, al termine della pellicola si pone e ci pone una domanda: “Valeva la pena che tante persone, simbolizzate da alcuni singoli attori, dessero la loro vita per salvare capolavori inestimabili?”
Agli spettatori la propri personale risposta ed una meravigliosa rivisitazione di capolavori senza tempo come la Madonna di Bruges, unica opera di Michelangelo Buonarroti a non essere in Italia, o dipinti di Rembrand, Picasso e artisti ineguagliabili dei quali ancor si cercano opere che di volta in volta nel corso degli anni vengono ritrovate nascoste in luoghi impensabili.
Fra gli attori la coppia composta da Bob Balaban e Bill Murray che, trovatosi a Milano per presentare il film, a chi gli ha chiesto la differenza tra lavorare con Clooney e Wes Anderson (con cui tante volte ha collaborato), ha risposto che mentre Anderson fa film d’arte, Clooney h fatto una pellicola sull’arte.